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L’eccellenza del benedetto mese di ramadan

Questo sacro mese è stato scelto per il digiuno per l’eccellenza e la superiorità che ha rispetto agli altri. Nel versetto in esame questa superiorità è stata esposta ricordando che in questo mese è stato rivelato il Sacro Corano, libro che guida l’uomo al bene e alla beatitudine eterna, infallibile mezzo di distinzione del bene dal male. Le tradizioni islamiche attestano che anche tutti gli altri grandi libri celesti (la Torà, il Vangelo, i Salmi ecc.) sono stati rivelati in questo benedetto e sacro mese. In un hadith dell’imam Sadiq (A) leggiamo: “La Torà è stata rivelata nel sesto giorno del benedetto mese di ramadan, il Vangelo nel dodicesimo, i Salmi nel diciottesimo, e il glorioso Corano nella laylatu-l-qadr [notte del destino]”[251]

Dunque, il mese di ramadan è sempre stato il mese della rivelazione, della sapienza, e della formazione spirituale. In effetti, senza insegnamento e sapienza non è possibile formare spiritualmente gli uomini, ed è per questo che il digiuno deve essere compiuto con la maggiore consapevolezza possibile da parte del credente, affinché possa purificare il suo corpo e la sua anima da ogni forma di impurità.

Un anno, nell’ultimo venerdí del sacro mese di sha´ban, il nobile Profeta dell’Islam, al fine di preparare i suoi seguaci ad accogliere il benedetto mese di ramadan, recitò un celebre sermone, ricordando l’importanza di questo sacro mese, nel seguente modo: “O gente, in verità, vi sta venendo incontro il mese di Dio, pieno d’abbondanza, misericordia e insegnamento. Questo mese è, per Dio, il migliore dei mesi e i suoi giorni sono i migliori giorni; le sue notti le migliori notti e le sue ore le migliori ore. In esso siete stati invitati al banchetto divino e siete stati fatti oggetto della grazia divina. In questo mese i vostri respiri sono “tasbíh” [santificazione] e il vostro sonno “ibàdah” [adorazione]. Le vostre azioni vengono accettate da Dio e le vostre preghiere esaudite. Chiedete dunque a Dio, con pura intenzione e cuore sincero, di aiutarvi a digiunare e leggere il Suo Libro [il Corano]. In verità, disgraziato è chi, in questo grande mese, non riesce a ottenere il perdono divino. In esso, con la vostra fame e la vostra sete, ricordate la fame e la sete del Giorno del Giudizio; fate la carità, rispettate i grandi, siate benevoli con i piccoli, siate gentili con i vostri parenti, trattenete la lingua, gli occhi e gli orecchi dal peccato e siate benevoli con i vostri orfani. Ritornate a Dio sinceramente pentiti e invocatelo a braccia elevate nelle ore della preghiera. In effetti, in tali ore Dio è piú misericordioso con i Suoi servi, li esaudisce quando Lo invocano, risponde quando Lo chiamano, e dona loro ciò che Gli chiedono…”

La regola del “Laa Haraja”

Nei versetti precedenti abbiamo letto la frase “Allah vuole per voi l’agio, non il disagio”, riguardante il dovere della persona che è in viaggio o che è malata, in relazione al precetto del digiuno. Ma valutando attentamente il significato di questa frase, è possibile dedurne una regola generale, chiamata regola del “Laa Haraja”. È possibile enunciare questa regola come segue: “Fondamentalmente, le leggi dell’Islam non sono severe, e se in una determinata circostanza il loro rispetto comportasse un forte disagio, vengono sospese nella misura e per il tempo necessario a eliminare tale disagio”

Questa regola si applica, ad esempio, al caso in cui fare il wudu comporta grandi difficoltà, o è dannoso alla salute, oppure, al caso della persona che non è in grado di effettuare la preghiera in piedi. Nel primo caso, al posto del wudu è possibile fare il tayammum, nel secondo invece, è possibile fare la preghiera nella posizione piú vicina possibile a quella eretta.

Nel settantottesimo versetto della Sura dell’Hajj, leggiamo: “Egli vi ha eletto, e non vi ha assegnato alcun dovere religioso troppo difficile”

In un celebre hadith del sommo Profeta leggiamo: “Io sono stato inviato con una shari´ah [legge religiosa] indulgente e semplice”[252]

VERSETTO 186

æóÅöÐóÇ ÓóÃóáóßó ÚöÈóÇÏöí Úóäøöí ÝóÅöäøöí ÞóÑöíÈñ ÃõÌöíÈõ ÏóÚúæóÉó ÇáÏøóÇÚö ÅöÐóÇ ÏóÚóÇäö ÝóáúíóÓúÊóÌöíÈõæÇú áöí æóáúíõÄúãöäõæÇú Èöí áóÚóáøóåõãú íóÑúÔõÏõæäó ﴿186﴾

186.  E quando i Miei servi ti chiedono di Me, ebbene [devi dire loro che], in verità, Io sono vicino! Esaudisco la preghiera di chi supplica, quando Mi invoca. Che accettino quindi il Mio invito e credano in Me! Forse cosí seguiranno la retta via.

COMMENTO

IN QUALE CIRCOSTANZA FU RIVELATO IL VERSETTO?

Fu chiesto al sommo Profeta: “Il nostro Dio è vicino, per poterLo pregare a bassa voce, o è lontano, per poterLo pregare ad alta voce? Fu allora rivelato il versetto in esame.

LA PREGHIERA

Dal momento che uno dei mezzi che gli uomini hanno a disposizione per essere in relazione con il loro Signore, è la du´ah, la supplica, la preghiera, il sacro Corano, dopo aver esposto, nei versetti precedenti, importanti precetti islamici, parla di questo fondamentale e profondo rapporto tra la creatura e il Creatore.

Nonostante essa sia una pratica destinata a tutti coloro che vogliono parlare e confidarsi con il proprio Signore, il sacro Corano la ricorda tra i versetti che parlano del digiuno, conferendo a quest’ultimo un nuovo e interessante significato, poiché, in realtà, si adora Dio per avvicinarsi a Lui e potere confidarsi intimamente con Lui.

Questo versetto si rivolge al sommo Profeta dicendogli: “E quando i Miei servi ti chiedono di Me, ebbene [devi dire loro che], in verità, Io sono vicino!”. In un altro sacro versetto questa vicinanza è stata espressa in modo assai elegante ed efficace: “…E Noi siamo piú vicini a lui della [sua] vena giugulare”[253]

Poi, il versetto in esame, aggiunge: “Esaudisco la preghiera di chi supplica, quando Mi invoca. Che accettino quindi il Mio invito e credano in Me! Forse cosí seguiranno la retta via”

È interessante notare come il Signore Eccelso, in questo piccolo versetto, nomina Se stesso per ben sette volte, e per altrettante volte i Suoi servi, e, in tal modo, esprime tutto il Suo amore e la Sua attenzione per le Sue creature, e ribadisce, in modo assai fine ed efficace, il concetto espresso nella prima parte del versetto: “Io sono vicino!”

Abdullah Bin Sanaan dice di aver sentito l’imam Sadiq affermare: “Fate molta du´ah, poiché essa è la chiave del perdono divino, e il mezzo per ottenere ogni grazia. Esistono doni presso Dio, che è possibile ottenere solo attraverso la du´ah, che è in grado di aprirti tutte le porte”[254]

Certo, Allah ci è vicino, è sempre con noi, e non può esserci lontano, poiché Egli è nel nostro cuore[255].

A QUALI CONDIZIONI LA DU´AH VIENE ESAUDITA DA DIO?

Affinché una preghiera sia ascoltata dal Signore eccelso, deve sottostare a determinate condizioni.

  1. Prima di tutto bisogna sforzarsi di purificare il proprio cuore, la propria anima, pentirsi dei propri peccati, correggersi, e seguire le orme delle guide divine. Il santo imam Sadiq (A) disse: “Prima di chiedere qualcosa, di questo mondo o dell’aldilà, al vostro Signore, esaltateLo, lodateLo, mandate benedizioni al Profeta e alla sua Famiglia, poi confessateGli i vostri peccati, e poi chiedete”[256]
  2. Bisogna astenersi dall’usurpare i beni altrui, e dai cibi proibiti. Il sommo profeta Muhammad (S) disse: “Chi ama che gli siano esaudite le preghiere, deve guadagnarsi da vivere in modo onesto, e mangiare cibi leciti”[257]
  3. È altresí necessario combattere contro il male e la corruzione, e invitare la gente al bene e alla verità, poiché Dio non esaudisce le preghiere di coloro che trascurano il dovere di ordinare il bene e vietare il male. Il santo Profeta disse: “Dovrete sicuramente ordinare il bene e vietare il male, altrimenti Allah farà prevalere i vostri empi sui vostri probi, i quali pregheranno, ma non saranno esauditi”[258]
  4. Bisogna poi mantenere le promesse fatte a Dio, rispettare i patti stretti con Lui, mantenere pura la fede, agire rettamente, essere onesti e fedeli, e non tradire la fiducia del prossimo. In effetti, chi tradisce la fiducia del proprio Signore e del prossimo, non può pretendere che Egli lo esaudisca e gli conceda quello che desidera. Un giorno una persona disse al Principe dei Credenti: “Malgrado Dio abbia promesso di esaudire le preghiere di chi lo invoca, Egli non esaudisce però le nostre!”. L’Imam rispose: “I vostri cuori e le vostre menti hanno tradito [Dio, la Sua fiducia] in otto casi, ecco perché le vostre preghiere non vengono esaudite. Ebbene, voi avete conosciuto Dio, ma non avete rispettato i Suoi diritti, come Egli vi ha ordinato. Ecco perché questa vostra conoscenza non v’è stata utile. Voi avete prestato fede al Suo Messaggero, ma poi avete contravvenuto alla Sua sunnah. A cosa è servita allora la vostra fede? Avete letto il Suo Libro, ma non l’avete praticato. Avete detto: “Abbiamo ascoltato e ubbidito”, ma poi avete disubbidito. Voi dite di temere il Fuoco dell’Inferno, il castigo divino, ma continuate a compiere atti che vi avvicinano ad esso. Avete veramente paura? Dite di aspirare alla ricompensa divina, ma continuate a compiere atti che vi allontanano da essa. La desiderate veramente? Vi cibate e godete dei doni divini, ma non Lo ringraziate. Vi ha ordinato di essere nemici di Satana, voi però cercate di farvelo amico. Avete la pretesa di essere nemici di Satana, ma, nella pratica, non gli disubbidite. Voi vedete sempre i difetti della gente, ma ignorate i vostri. Come fate dunque a pretendere che Dio esaudisca le vostre preghiere, quando siete stati voi a chiudere le porte [della Sua grazia]? Siate timorati, correggete la vostra condotta, ordinate il bene e vietate il male, affinché le vostre preghiere siano ascoltate”. Da questo significativo hadith è possibile dedurre facilmente che la promessa divina di esaudire le preghiere delle Sue creature, è condizionata: Dio mantiene la Sua promessa, ascolta le preghiere del credente, se questo, a sua volta, mantiene le promesse fatte a Lui, rispetta i patti stretti con Lui.
  5. Bisogna accompagnare la preghiera con l’impegno e lo sforzo per ottenere ciò che si è chiesto a Dio. In una sentenza del santo Alí (A), leggiamo: “Colui che prega senza agire, è come l’arciere [con un arco] privo di corda”[259]

La du´ah dunque da sola non basta, deve essere bensí accompagnata dalla volontà di cambiare, da un serio lavoro di correzione, di purificazione, e da un sincero sforzo.

ALCUNE TRADIZIONI RIGUARDANTI LA DU´AH

1.       In una tradizione del santo imam Sadiq (A), leggiamo: «Il Principe dei Credenti disse: “Sulla terra, l’atto piú amato da Dio è la du´ah. Il migliore atto di adorazione è il timore di Dio”. Il Principe dei Credenti faceva molta du´ah»[260]

2.       In un’altra tradizione, l’imam Sadiq (A) narra che il sommo Profeta disse: “La du´ah è l’arma del credente, il pilastro della religione, e la luce dei cieli e della terra”[261]

3.       Il Principe dei Credenti disse: “La du´ah è la chiave della salvezza e della felicità, è una preziosa fonte di beatitudine. La migliore du´ah è quella che esce da un petto puro, da un cuore timorato”[262]

4.       Il sommo Profeta disse: “Volete che vi indichi un’arma che vi salvi dai vostri nemici, e aumenti notevolmente il vostro pane quotidiano?”. Dissero: “Certo”. Il Messaggero di Allah disse allora: “Invocate notte e giorno il vostro Signore, poiché la du´ah è l’arma del credente”[263]

5.       Il sesto Imam narra che il Principe dei Credenti disse: “La du´ah è lo scudo del credente. Le porte [della grazia divina] ti saranno aperte ogni volta che busserai molto ad esse”[264]

6.       L’ottavo Imam disse ai propri seguaci: “Attaccatevi all’arma dei Profeti”. Gli fu chiesto: “Qual è l’arma dei Profeti?”. L’Imam rispose: “La du´ah”

  1. L’imam Sadiq (A) disse: “La du´ah è piú efficace della lancia di ferro”

VERSETTO 187

ÃõÍöáøó áóßõãú áóíúáóÉó ÇáÕøöíóÇãö ÇáÑøóÝóËõ Åöáóì äöÓóÂÆößõãú åõäøó áöÈóÇÓñ áøóßõãú æóÃóäÊõãú áöÈóÇÓñ áøóåõäøó Úóáöãó Çááøåõ Ãóäøóßõãú ßõäÊõãú ÊóÎúÊÇäõæäó ÃóäÝõÓóßõãú ÝóÊóÇÈó Úóáóíúßõãú æóÚóÝóÇ Úóäßõãú ÝóÇáÂäó ÈóÇÔöÑõæåõäøó æóÇÈúÊóÛõæÇú ãóÇ ßóÊóÈó Çááøåõ áóßõãú æóßõáõæÇú æóÇÔúÑóÈõæÇú ÍóÊøóì íóÊóÈóíøóäó áóßõãõ ÇáúÎóíúØõ ÇáÃóÈúíóÖõ ãöäó ÇáúÎóíúØö ÇáÃóÓúæóÏö ãöäó ÇáúÝóÌúÑö Ëõãøó ÃóÊöãøõæÇú ÇáÕøöíóÇãó Åöáóì Çáøóáíúáö æóáÇó ÊõÈóÇÔöÑõæåõäøó æóÃóäÊõãú ÚóÇßöÝõæäó Ýöí ÇáúãóÓóÇÌöÏö Êöáúßó ÍõÏõæÏõ Çááøåö ÝóáÇó ÊóÞúÑóÈõæåóÇ ßóÐóáößó íõÈóíøöäõ Çááøåõ ÂíóÇÊöåö áöáäøóÇÓö áóÚóáøóåõãú íóÊøóÞõæäó ﴿187﴾

187.  Nelle notti del digiuno vi è stato permesso di giacere con le vostre donne. Esse sono una veste per voi e voi siete una veste per loro. Allah sapeva che voi ingannavate voi stessi; accettò dunque il vostro pentimento e vi perdonò. Pertanto ora giacete pure con esse e cercate quello che Allah vi ha prescritto; mangiate e bevete finché, all’alba, possiate distinguere il ‘filo bianco’ [primissimo albore del mattino] dal ‘filo nero’ [il buio della notte], quindi, digiunate fino al giungere della notte. E non giacete con loro quando siete in i´tikaaf [rituale ritiro spirituale] nelle moschee. Questi sono i limiti di Allah, ebbene, non avvicinatevi a essi! Cosí Allah mostra agli uomini i Suoi segni, nella speranza che essi possano divenire timorati [di Allah].

COMMENTO

IN QUALE CIRCOSTANZA FU RIVELATO IL VERSETTO?

Dalle tradizioni islamiche si deduce che inizialmente i mussulmani potevano mangiare e bere solo prima del sonno notturno, nel senso che se qualcuno si addormentava di notte, e poi si svegliava, anche prima della chiamata alla preghiera del mattino, non poteva piú né mangiare né bere. Era inoltre proibito avere rapporti sessuali in tutto il mese di ramadan, anche durante la notte. Uno dei compagni del sommo Profeta, Mut´am Bin Jubayr, malgrado fosse un uomo di debole costituzione, digiunava. Una sera ritornò a casa per l’iftaar [rottura del digiuno], e mentre la moglie era impegnata a preparagli il cibo, egli, stanco e spossato, s’addormentò, e al risveglio disse: “Io non ho piú diritto all’iftaar”. Si riaddormentò in questo stato, e la mattina successiva, in istato di digiuno, si mise a lavoro, per scavare un fossato (prima dell’inizio della Guerra delle Fazioni), quando a un certo punto, sfinito dalla fame e dalla stanchezza, svenne. Il Profeta venne da lui, e rimase colpito nel constatare le sue cattive condizioni di salute.

A volte poi, nel mese di ramadan, alcuni giovani mussulmani non riuscivano a frenare i propri desideri, e giacevano con le proprie mogli.

Fu cosí che il Signore Misericordioso rivelò il versetto in esame, permettendo ai credenti di mangiare, bere e giacere con le proprie mogli nelle notti del benedetto mese di ramadan.

LE NOTTI DEL MESE BENEDETTO

Nel paragrafo precedente abbiamo detto che nei primi anni della comparsa dell’Islam era proibito avere rapporti sessuali nelle notti del sacro mese di ramadan. In esse inoltre si poteva mangiare e bere solo prima del sonno notturno. Forse, in tal modo, il Signore Eccelso voleva mettere alla prova i credenti, e prepararli ad accettare i precetti riguardanti il digiuno.

Il versetto in esame, che espone ben quattro norme riguardanti due precetti islamici, il digiuno e l’i´tikaaf, inizia dicendo: “Nelle notti del digiuno vi è stato permesso di giacere con le vostre donne”, esponendo di seguito una delle ragioni fondamentali di questa licenza: “Esse sono una veste per voi e voi siete una veste per loro”. La veste, da una parte, protegge l’essere umano dal freddo, dal caldo, e dagli oggetti che potrebbero ferirlo, dall’altra, copre i suoi difetti, ed è inoltre in grado di donargli grazia e bellezza. Analogamente moglie e marito si proteggono a vicenda dalle deviazioni. Una moglie è in grado di coprire i difetti del proprio marito, il quale, a sua volta, può fare altrettanto nei confronti di lei. Possono donarsi pace e tranquillità a vicenda, e sono l’uno il fregio dell’altra.

Questa espressione chiarisce perfettamente lo straordinario legame spirituale e la vicinanza esistente tra moglie e marito, dimostrando altresí la loro parità in questo ambito, poiché, in questo versetto, il sacro Corano si rivolge alle mogli con le stesse parole con le quali si rivolge ai mariti: “Esse sono una veste per voi e voi siete una veste per loro”

Il nobile Verbo di Allah continua poi chiarendo maggiormente le ragioni della suddetta licenza: “Allah sapeva che voi ingannavate voi stessi; accettò dunque il vostro pentimento e vi perdonò. Pertanto ora giacete pure con esse e cercate quello che Allah vi ha prescritto”

Quindi, il Signore Eccelso per evitare che i Suoi servi peccassero maggiormente, ha alleggerito loro il dovere del digiuno, concedendo loro di mangiare, bere, e giacere liberamente durante le notti del sacro mese di ramadan. È ovvio che questa è solo una licenza, è un precetto che abolisce un precedente divieto, e quindi, in base alle regole dei principi generali del diritto islamico, da intendere solo come un permesso, una licenza, e non come un ordine a mangiare, bere, e giacere per forza. Il credente è quindi libero di compiere questi atti o di astenersene.

La frase “cercate quello che Allah vi ha prescritto”, ribadisce che i credenti possono liberamente fare uso di questa licenza – in perfetta armonia con le leggi della creazione, concessa al fine di proteggere l’umanità e garantire la sua sopravvivenza – per soddisfare in modo lecito i propri istinti e le proprie esigenze naturali.

A questo punto viene esposta la seconda delle quattro norme trattate in questo versetto, che riguarda ancora il digiuno: “Mangiate e bevete finché, all’alba, possiate distinguere il ‘filo bianco’ [primissimo albore del mattino] dal ‘filo nero’ [il buio della notte]”

Perciò, i mussulmani hanno il diritto di mangiare e bere per tutta la notte, ma al sorgere della prima luce del mattino devono iniziare il digiuno.

Continua poi esponendo il terzo precetto: “…quindi, digiunate fino al giungere della notte”. Attraverso questa frase il Corano vuole ribadire il divieto di mangiare, bere, e avere rapporti sessuali nelle ore diurne del mese di ramadan, e fissare in modo preciso il momento in cui è possibile rompere il digiuno.

Alla fine del versetto, viene esposto il quarto e ultimo dei precetti in esso trattati, riguardante una particolare pratica chiamata i´tikaaf: “E non giacete con loro quando siete in i´tikaaf [rituale ritiro spirituale] nelle moschee”

Questo precetto può anche essere considerato una limitazione, un’eccezione della precedente norma, poiché durante l’i´tikaaf, che deve durare almeno tre giorni, bisogna digiunare, ma non è permesso di giacere con le donne né di giorno né di notte.

Il versetto si chiude, riferendosi a tutti e quattro i precedenti precetti esposti, dicendo: “Questi sono i termini di Allah, ebbene, non avvicinatevi a essi! Cosí Allah mostra agli uomini i Suoi segni, nella speranza che essi possano divenire timorati [di Allah]”

OSSERVAZIONI

I termini di Allah

Nei versetti ora commentati, il sacro Corano, dopo aver esposto parte delle norme riguardanti il digiuno e l’i´tikaaf, chiama questi precetti “termini di Allah”, ordinando ai credenti di non avvicinarsi ad essi. Non è difficile notare che il nobile Verbo di Allah, non dice: “Non superate i termini, i limiti imposti da Allah”, ma comanda loro di non avvicinarsi nemmeno ad essi, perché potrebbero essere tentati ad oltrepassarli. È questo il motivo per cui riguardo ad alcuni precetti islamici è stato vietato anche il solo avvicinarsi ai limiti del peccato e della trasgressione. È, ad esempio, proibito partecipare a feste e riunioni nelle quali si pecca, anche quando non si intende peccare, e non si contravviene ad alcun precetto islamico, oppure, rimanere soli con una donna estranea in un luogo nel quale non può accedere nessuno, anche nel caso in cui non si faccia alcun peccato, e non si abbiano cattive intenzioni.

L’i´tikaaf

La parola i´tikaaf significa rimanere segregati per un lungo periodo di tempo accanto a una cosa, e nel diritto islamico indica un particolare rito che consiste nel rimanere per almeno tre giorni dentro una moschea, per prestare culto al Signore Eccelso, in istato di digiuno, rinunciando ad alcuni piaceri materiali. Questo atto di adorazione ha un profondo effetto nel purificare l’anima umana, e nell’aumentare il timor di Dio del credente. I trattati di diritto islamico parlano in modo dettagliato delle norme che regolano questo rito. È importante sapere che l’i´tikaaf è un atto mustahabb [supererogatorio], non waajib [obbligatorio], salvo in alcuni casi eccezionali. In ogni caso, nel versetto in esame è stato ricordato solo uno degli atti proibiti durante questo rito, e ciò perché esso è anche uno degli atti vietati durante il digiuno.

Fajr

Fajr (da noi tradotto, nel versetto, con il termine alba) significa “spaccare”, ed è per questo motivo che l’alba, il primissimo albore del mattino, viene chiamato fajr, poiché è come se spaccasse, con il suo sorgere, le tenebre della notte.

A tal proposito, nel versetto in esame troviamo anche la significativa espressione: “…finché, all’alba, possiate distinguere il ‘filo bianco’ [primissimo albore del mattino] dal ‘filo nero’ [il buio della notte]…”. In un interessante hadith leggiamo che ´Udayy Bin Haatam disse al sommo Profeta: “Io avevo messo vicini due fili, uno bianco e uno nero, e continuavo ad osservarli fino a poterli distinguere [all’alba], e conoscere in questo modo il momento dell’inizio del digiuno”. Il nobile Profeta sorrise e disse all’uomo: “O Bin Haatam, il versetto invita a distinguere la primissima luce del mattino che si diffonde all’orizzonte dalle tenebre della notte; è in questo momento che inizia l’obbligo del digiuno”

Bisogna inoltre sapere che da questa espressione è altresí possibile dedurre un criterio per poter distinguere la cosiddetta alba sincera da quella mendace. Poco prima del sorgere del fajr, compare ad oriente un bagliore di luce che si leva verticalmente verso l’alto. Tale bagliore viene chiamato “prima alba” o anche “alba mendace”. Dopodiché questo bagliore si spande sull’orizzonte e forma una fascia orizzontale di luce chiara sovrastata dalle tenebre della notte. Questa seconda luce viene denominata “seconda alba” o “alba sincera”, e segna l’inizio del digiuno e della fascia di tempo nella quale è possibile effettuare la preghiera del mattino.

I versetti del digiuno iniziano e finiscono parlando del timor di Dio

È interessante notare come i versetti che ci hanno finora esposto le norme che regolano il fondamentale precetto del digiuno, inizino e finiscano parlando del principale obiettivo di questo sacro comandamento: il timor di Dio. Nel primo versetto relativo al digiuno leggiamo infatti: “O voi che avete prestato fede, v’è stato prescritto il digiuno…forse cosí diverrete timorati [di Allah]!”, mentre l’ultimo dice: “…Cosí Allah mostra agli uomini i Suoi segni, nella speranza che essi possano divenire timorati [di Allah]”

Ciò mette in rilievo l’importanza del timor di Dio, e ci fa comprendere che tutti questi fondamentali precetti e riti, hanno come principale obiettivo quello di aumentare e rinforzare il timor di Dio dei credenti, perché solo in questo modo possono tenersi lontani dal male e seguire la retta via, che conduce alla beatitudine eterna.

VERSETTO 188

æóáÇó ÊóÃúßõáõæÇú ÃóãúæóÇáóßõã Èóíúäóßõã ÈöÇáúÈóÇØöáö æóÊõÏúáõæÇú ÈöåóÇ Åöáóì ÇáúÍõßøóÇãö áöÊóÃúßõáõæÇú ÝóÑöíÞðÇ ãøöäú ÃóãúæóÇáö ÇáäøóÇÓö ÈöÇáÅöËúãö æóÃóäÊõãú ÊóÚúáóãõæäó ﴿188﴾

188.  E non consumate fra di voi i vostri beni invano, e non datene ai giudici per [corromperli e, in tal modo] appropriarvi ingiustamente di una parte dei beni della gente, mentre voi [ben] sapete [che comportandovi cosí fate una grande ingiustizia].

COMMENTO

INTRODUZIONE

Questo versetto vieta severamente ai mussulmani di compiere atti assai indegni e riprovevoli, quali l’uso dei beni per scopi vani o illeciti, la corruzione, e l’appropriazione illegittima dei beni altrui: “E non consumate fra di voi i vostri beni invano, e non datene ai giudici per…”

Nella Sura delle Donne, troviamo un versetto simile a questo: “O voi che avete prestato fede, non mangiate illecitamente i vostri beni tra di voi, a meno che non si tratti di commercio di comune accordo fra voi…”[265]

Chi corrompe una persona per appropriarsi dei beni altrui, compie in realtà due peccati: corruzione e usurpazione. Secondo la religione islamica, il peccato della corruzione è cosí grave, che riguardo ad esso una tradizione del nobile imam Sadiq (A) afferma: “Corrompere un giudice, significa negare Allah il Magnifico”[266]

In un celebre hadith del Messaggero di Allah (S) leggiamo: “Allah ha maledetto il corruttore, il corrotto, e il mediatore tra loro due”

Il versetto in esame dice chiaramente che i beni ottenuti corrompendo, non sono leciti; una sentenza non può attribuire a una persona dei beni altrui, non può trasformare l’illecito in lecito. Ciò è confermato esplicitamente dalla seguente tradizione del nobile Profeta dell’Islam: “Io sono un essere umano come voi [e ho il dovere di giudicare fra di voi basandomi sulle prove esteriori]. Quando mi viene presentata una causa, è possibile che una delle parti abbia maggiori capacità di argomentazione delle altre, e io, in base alle prove, giudichi in suo favore. Sappiate però che nel caso in cui io attribuisca a una persona ciò che spetta ad altri, ebbene quella cosa è una parte del fuoco dell’Inferno. Dunque, se questa persona ama questo fuoco, usufruisca pure di essa, diversamente la liberi [la restituisca al suo legittimo proprietario]” [267]

IL FLAGELLO DELLA CORRUZIONE

Uno dei grandi flagelli che dai tempi piú antichi affligge la società umana, e che oggi ha raggiunto incredibili dimensioni, è la corruzione, che è uno dei maggiori ostacoli alla realizzazione della giustizia sociale. La corruzione fa sí che le leggi, che di norma dovrebbero proteggere gli interessi delle classi piú deboli, e limitare quelle piú forti, finiscano a favore di queste ultime. In effetti, i ricchi e i potenti, sfruttando i loro averi e il loro potere, sono sempre in grado di difendere i propri interessi, diversamente dai poveri e dai diseredati, ai quali deve pensare la legge. In una società dominata dalla corruzione, il ricco, attraverso i suoi averi, compra e corrompe chiunque, aumentando le sue ricchezze, il suo potere e la sua influenza, e facendo delle leggi uno strumento per opprimere e derubare le classi piú deboli.

È per questo motivo che le società corrotte sono dominate dal disordine, dal male, dall’ingiustizia, dalla discriminazione e dalla delinquenza.

Sono questi dunque i motivi per i quali l’Islam biasima, condanna e proibisce con assoluta severità questo terribile flagello, e lo considera peccato maggiore.

La corruzione è talmente turpe, che a volte viene nascosta dietro nomi diversi. La persona che intende corrompere qualcuno, spesso camuffa le sue turpi intenzioni, dicendo di volere fare del bene, dando una mancia, presentandosi con un regalo, dicendo che il denaro che intende dare è la giusta e meritata ricompensa di uno sforzo, di un servizio. È ovvio però che queste ignobili furberie non sono assolutamente in grado di cambiare la turpe natura di questo infame atto.

Nel Nahju-l-balaaghah leggiamo che una notte Ash´ath Bin Qais si presentò a casa del nobile Alí (A) con in mano un delizioso dolce, per corrompere con esso il santo Imam, e indurlo a pronunciare una sentenza in suo favore. Il Principe dei Credenti s’adirò, e disse: “Morte a te! Sei venuto a ingannarmi, e ad allontanarmi dalla religione di Allah? Giuro su Dio, che non toglierei ingiustamente la crusca di un solo chicco d’orzo dalla bocca di una formica, nemmeno se mi dessero le sette Regioni con tutto ciò che v’è sotto i loro cieli. Per me il vostro mondo vale meno di una foglia masticata da una cavalletta. Alí è al di sopra degli effimeri beni e dei fugaci piaceri [di questo mondo]”

L’Islam condanna dunque severamente e decisamente la corruzione, in qualsiasi forma e aspetto essa si presenti e compaia. Nella biografia del santo Profeta dell’Islam, si narra che un giorno egli fu informato che uno dei suoi governatori si è fatto corrompere accettando un regalo. Il nobile Messaggero di Allah s’adirò e gli disse: “Perché prendi ciò a cui non hai diritto?”. Egli si scusò con il sommo Profeta, e rispose: “M’è stato dato in regalo”. Il Profeta disse allora: “Se rimanessi in casa, e non fossi governatore locale da parte mia, riceveresti forse dei regali dalla gente?”. Fece poi sequestrare il regalo, lo uní al fondo pubblico, e destituí l’uomo dalla sua carica” [268]

L’Islam per evitare che i giudici vengano corrotti, vieta addirittura loro di andare di persona a fare acquisti, poiché alcuni negozianti potrebbero fare loro sconti, regali, agevolazioni, e ciò potrebbe inconsapevolmente influenzarli, nel senso che un giorno potrebbero, senza rendersene conto, favorire un negoziante che in passato ha fatto loro degli sconti, dei regali o delle agevolazioni. È opportuno che tutti i mussulmani si ispirino al sacro Corano, e combattano questo grave male.

Alcuni hanno interpretato il versetto in esame dicendo che esso vieta ai credenti di consumare i propri beni fra di loro in modo vano, ad esempio, giocando d’azzardo. A tal proposito, viene citata anche la seguente tradizione dell’imam Baqir (A): “I Quraysh si giocavano le proprie mogli e i propri beni, e allora Allah vietò loro di farlo”

È tuttavia meglio dare al versetto un senso piú ampio, e dedurre da esso tutti i divieti sopraccitati.

VERSETTO 189

íóÓúÃóáõæäóßó Úóäö ÇáÃåöáøóÉö Þõáú åöíó ãóæóÇÞöíÊõ áöáäøóÇÓö æóÇáúÍóÌøö æóáóíúÓó ÇáúÈöÑøõ ÈöÃóäú ÊóÃúÊõæúÇú ÇáúÈõíõæÊó ãöä ÙõåõæÑöåóÇ æóáóÜßöäøó ÇáúÈöÑøó ãóäö ÇÊøóÞóì æóÃúÊõæÇú ÇáúÈõíõæÊó ãöäú ÃóÈúæóÇÈöåóÇ æóÇÊøóÞõæÇú Çááøåó áóÚóáøóßõãú ÊõÝúáöÍõæäó ﴿189﴾

189.  Ti interrogheranno sui noviluni. Di’: “Servono alla gente per il computo del tempo e per l’hajj [il pellegrinaggio]”. Il bene non consiste nell’entrare nelle case dalla parte posteriore, ma il bene è [quello di] chi è timorato [di Allah]. Entrate nelle case passando per le porte e temete Allah, forse cosí raggiungerete la beatitudine.