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COMMENTO

I DEGNI TESTAMENTI

Nei versetti precedenti abbiamo parlato di questioni inerenti la vita umana e abbiamo trattato il problema del qisas. In questi versetti parleremo di alcune norme riguardanti la wasiyyah, il testamento, in relazione ai problemi concernenti i beni e gli averi di una persona. Il primo versetto ordina: “V’è stato prescritto, quando la morte si presenta a qualcuno di voi, se lascia un bene, di farne testamento ai genitori e ai parenti con equità. È cosí che si comportano i [veri] timorati [di Allah]!”

Non bisogna assolutamente pensare che fare testamento porti sfortuna. Alcune genti infatti, credono erroneamente che il testamento sia segno di morte vicina. Il testamento è una forma di previdenza, e se il versetto in esame ordina di fare testamento quando si presenta la morte, quando essa è vicina, è solo perché quella è l’ultima occasione per farlo. È possibile infatti fare testamento in ogni momento, anche anni e anni prima di morire, quando non v’è alcun segno della morte.

Alcuni hanno considerato il testamento un atto obbligatorio, tuttavia l’espressione “È cosí che si comportano i [veri] timorati [di Allah]!” dimostra che si tratta di un atto mustahabb, supererogatorio, non obbligatorio, se no avremmo letto “è cosí che si comportano i [veri] credenti”. Quanto poi al merito di tale atto, basti ricordare la seguente tradizione del sommo Profeta: “Chi muore facendo testamento, è come se fosse morto martire”[226]

In base a quanto affermano gli esegeti del sacro Corano e gli esperti di diritto islamico, quando si hanno dei debiti o dei doveri da assolvere, è necessario, è obbligatorio fare testamento, soprattutto per quelle persone che hanno debiti con la gente, oppure devono pagare delle tasse islamiche, come la khums o la zakah, o debbono eseguire l’hajj. Negli altri casi, come abbiamo già detto, fare testamento è mustahabb, anzi fortemente mustahabb. È interessante notare come il versetto, al posto di usare il termine “averi”, si serva della significativa parola “khayr”, che significa “bene”, nel senso di cosa buona, per far capire che la sacra religione islamica considera gli averi della gente come un bene, una benedizione, e per smentire altresí coloro che credono che sia un male, una cosa negativa possedere dei beni, degli averi. L’Islam detesta infatti coloro che eguagliano il giusto e dovuto disinteressamento per le cose del mondo, il zuhd, all’indigenza, e che invitano la gente alla povertà, rovinando cosí la società islamica, e rendendosi in tal modo complici delle ingiustizie e dei crimini commessi da colonizzatori e sfruttatori.

Questa espressione è inoltre un fine ed elegante riferimento al fatto che gli averi dei quali si fa testamento debbono sicuramente essere stati guadagnati in modo lecito. È infatti evidente che i beni illeciti lasciati da un defunto non possono in nessun modo costituire una fonte di bene, ma sono, al contrario, infausti e dannosi per gli eredi.

Alcune tradizioni islamiche dimostrano che il versetto usa la parola “khayr” per farci comprendere che gli averi dei quali si fa testamento debbono avere un valore degno di considerazione. Non v’è infatti bisogno di fare testamento di beni che hanno un valore irrilevante, ed è meglio che gli eredi se li spartiscano tra di loro in base alle norme islamiche dell’eredità.[227]

La presenza del vincolo “con equità” dimostra inoltre che il testamento dev’essere fatto in modo che la sana ragione lo riconosca come giusto e adeguato da ogni punto di vista (dal punto di vista della somma, della quantità, della persona in favore della quale si fa testamento ecc.), e non deve essere discriminante, fonte di contrasti e litigi, causa di deviazione e allontanamento dalla verità e dalla giustizia.

Ebbene, quando un testamento possiede tutti i requisiti ricordati sopra, secondo la sacra legge islamica, è, sotto ogni aspetto, sacro e degno del massimo rispetto, e ogni forma di alterazione e manomissione del suo testo è severamente vietata, e costituisce peccato: “E chi lo altererà dopo averlo ascoltato, ebbene, il peccato graverà solo su quelli che lo avranno alterato. In verità, Allah è Colui che [tutto] ode e conosce”

È possibile che il sopraccitato versetto voglia anche dire che quando il wasiyy [esecutore testamentario] pecca manomettendo il testamento, tale peccato, tale indegna trasgressione, non ha alcun effetto sui meriti del testatore, che, per aver fatto equo e giusto testamento, sarà premiato in ogni caso dal Signore Eccelso, il Quale punirà il disonesto esecutore testamentario.

È anche possibile interpretare questo versetto dicendo che quando a causa delle illecite manomissioni di un wasiyy i beni di un defunto finiscono nelle mani di persone diverse da quelle indicate nelle disposizioni testamentarie, e ignare di tale disonesta alterazione, ebbene, le responsabilità e le colpe ricadono solamente, interamente sull’esecutore testamentario.

È bene notare che queste due interpretazioni non sono in antitesi tra di loro, e possono benissimo rientrare ambedue nel significato del versetto.

Esiste tuttavia un’eccezione al divieto generale di alterare il testamento: “Ma chi teme un errore o un peccato da parte di un testatore, e mette dunque pace fra di loro [gli eredi], non avrà commesso alcun peccato. In verità, Allah è clemente e benevolo”

Dunque non sussiste divieto di alterare il testamento quando questo non sia stato fatto in modo degno e onesto, questo nel caso in cui il testatore sia già morto, ma se egli è vivo, l’esecutore deve comunicargli gli errori da lui commessi nel fare testamento affinché egli provveda a correggerli.

È bene infine sapere che il diritto islamico, limita la suddetta eccezione ai seguenti casi.

  1. Quando il testamento supera un terzo del totale dei beni lasciati dal testatore: in molte tradizioni del sommo Profeta e dei santi imam dell’Ahlu-l-bayt leggiamo che è possibile fare testamento solo fino a un terzo del totale dei beni posseduti.[228] Quanto abbiamo ora detto ci fa comprendere che il comportamento di coloro che fanno testamento di tutti i loro beni è nettamente contrario alle sacre leggi dell’Islam, persino quando devolvono la totalità dei loro averi in beneficenza, poiché, lo ripetiamo, è possibile fare testamento solamente di un terzo dei propri beni, il resto spetta agli eredi. È allora dovere dell’esecutore testamentario correggere i testamenti nei quali il testatore ha fatto testamento di una quantità di beni che supera la terza parte del totale degli averi da lui posseduti.
  2. Quando le disposizioni del testatore sono contrarie alle norme islamiche. Ad esempio, l’esecutore testamentario deve ignorare le disposizioni del testatore che chiede che, dopo la sua morte, i suoi beni vengano usati per fondare centri nei quali si pecca, oppure siano spesi per impedire alla gente di rispettare i precetti divini.
  3. Quando il rispetto delle disposizioni testamentarie sia causa di forti discordie, di corruzione, di spargimento di sangue. In questi casi il testamento deve essere corretto con il benestare di una autorità religiosa.

È bene inoltre sapere che il termine “janaf”, da noi tradotto con “errore”, denota quelle deviazioni involontarie dal giusto e dalla verità, mentre “ithm”, da noi tradotto con il termine “peccato”, indica l’allontanamento volontario dalla retta via, dal vero.

Per concludere, ricordiamo che è possibile che la frase “In verità, Allah è clemente e benevolo” voglia dire che quando l’esecutore testamentario corregge con successo l’errore del testatore, riconducendolo alla verità, alla retta via, ebbene, Allah lo perdona e gli concede la Sua misericordia.

OSSERVAZIONI

Le ragioni della wasiyyah

In base alla legge islamica, possono godere dell’eredità sono un ristretto numero di parenti del defunto, in ben precise e determinate porzioni, mentre è possibile che altri parenti, e, a volte, anche alcuni suoi amici e conoscenti abbiano forte bisogno di aiuto economico. È poi possibile che la porzione dell’eredità che spetta ad alcuni eredi non sia loro sufficiente a risolvere i propri problemi.

L’Islam, dotato di una legge universale, perfetta, di norme e princípi conformi alla natura dell’uomo, rispondenti alle sue reali esigenze, per soddisfare le esigenze poc’anzi ricordate ha istituito, assieme all’eredità, il testamento, attraverso il quale ogni mussulmano può disporre di un terzo del proprio patrimonio per il tempo successivo alla propria morte, e aiutare con esso coloro che non godono dell’eredità, o anche un erede che ha, rispetto agli altri, maggiore bisogno di aiuto economico.

Prescindendo dalle ragioni ora esposte, a volte l’individuo ama fare della beneficenza, ma le sue esigenze economiche non glielo permettono. La ragione ci suggerisce che egli abbia il diritto di realizzare questo tipo di aspirazioni dopo la sua morte. L’Islam permette infatti a ogni mussulmano di beneficare opere pie con lasciti testamentari che non superino ovviamente la terza parte dell’intero patrimonio.

È bene però sapere che nel testamento bisogna anche specificare precisamente i propri debiti, i beni e gli oggetti della gente che si hanno in deposito, le preghiere, i digiuni e gli altri doveri religiosi ai quali non si è adempiuto e che si è tenuti a recuperare, in modo che nulla dei diritti della gente e di quelli divini rimanga a carico del testatore.

Le tradizioni islamiche raccomandano molto la wasiyyah. In un hadith del sommo Profeta (S) leggiamo: “Il mussulmano non deve coricarsi senza avere il proprio testamento sotto il cuscino”[229]

L’equo testamento

Le tradizioni islamiche raccomandano molto l’equità nel testamento, e mettono in guardia i mussulmani dal fare testamenti ingiusti e parziali. Dall’insieme delle tradizioni riguardanti la wasiyyah deduciamo che la mancanza di equità nel testamento è peccato maggiore.

In un hadith del quinto Imam leggiamo: “Chi fa testamento in modo equo, è come se avesse donato tutti quei beni sulla via di Dio quando era in vita. Chi invece fa testamento in modo ingiusto, sarà privato della grazia divina nel Giorno del Giudizio”[230]

L’iniquo testamento è quello di chi fa testamento di piú di un terzo dei suoi beni, privando cosí gli eredi di ciò che spetta loro di diritto. È pure iniquo il testamento che favorisce una o piú parti alle altre, uno o piú eredi agli altri. Quando poi gli eredi hanno gravi problemi economici, si ordina di non fare testamento della terza parte del totale dei beni, ma, a seconda dei casi, della quarta o della quinta parte.[231]

Per comprendere l’importanza data dal sommo Profeta e dai santi Imam alla questione dell’equità nel testamento, consideriamo il seguente hadith: «Uno degli uomini appartenenti alla tribú degli Ansaar morí lasciando diversi figli minorenni. Egli prima di morire spese tutti i suoi beni sulla via di Dio. Quando il sommo Profeta venne a conoscenza di ciò, disse: “Che cosa ne avete fatto di quell’uomo?”. Dissero: “Lo abbiamo seppellito”. Disse allora: “Se l’avessi saputo prima, non vi avrei permesso di seppellirlo nel cimitero dei mussulmani, poiché egli ha abbandonato i propri figli [alla propria sorte], costringendoli cosí a mendicare”[232]

Testamenti obbligatori e mustahabb

Il testamento è un atto supererogatorio dotato di grande merito (mustahabb). Tuttavia, come abbiamo già detto in precedenza, a volte diventa un obbligo, come nel caso in cui il credente abbia lasciato debiti, non abbia restituito beni e oggetti della gente che aveva in deposito, non abbia fatto in tempo a riparare all’omissione di preghiere, digiuni e altri doveri religiosi obbligatori. Il testamento è inoltre fortemente obbligatorio per quelle persone che hanno una posizione sociale di rilievo, nei casi in cui è indispensabile per salvaguardare l’ordine sociale o per proteggere la religione e la fede della gente.

Il testatore può cambiare il testamento quando è ancora in vita

Le leggi dell’Islam permettono a un testatore di cambiare il proprio testamento quando ancora è in vita. Egli può infatti alterare la quantità dei beni che ha il diritto di lasciare, le modalità dei lasciti, e anche di scegliere una persona diversa come esecutore testamentario. È infatti possibile che col passare del tempo egli cambi opinione sulle cose e sulle persone che sono in relazione al testamento e ai beni che intende lasciare.

Il testamento: un mezzo per riscattarsi e riunire i cuori

Per concludere è utile ricordare che il testamento è un mezzo per redimersi, liberarsi, con lasciti e disposizioni equi e lodevoli, da condizioni indegne relative alla propria vita.

Esso è anche un mezzo per riunire i cuori. Anche se alcuni parenti non si sono comportati bene con noi, è bene avvicinare i loro cuori ai nostri facendo testamento di parte dei nostri beni in loro favore. Nelle tradizioni islamiche leggiamo che le Guide della Religione facevano testamento di parte dei propri beni in favore dei loro parenti, soprattutto in favore di quelli che non dimostravano loro amore e gentilezza, e questo, come abbiamo già detto, per riconquistare il loro affetto e eliminare ogni astio e sentimento negativo.

VERSETTI 183-185

íóÇ ÃóíøõåóÇ ÇáøóÐöíäó ÂãóäõæÇú ßõÊöÈó Úóáóíúßõãõ ÇáÕøöíóÇãõ ßóãóÇ ßõÊöÈó Úóáóì ÇáøóÐöíäó ãöä ÞóÈúáößõãú áóÚóáøóßõãú ÊóÊøóÞõæäó ﴿183﴾ ÃóíøóÇãðÇ ãøóÚúÏõæÏóÇÊò Ýóãóä ßóÇäó ãöäßõã ãøóÑöíÖðÇ Ãóæú Úóáóì ÓóÝóÑò ÝóÚöÏøóÉñ ãøöäú ÃóíøóÇãò ÃõÎóÑó æóÚóáóì ÇáøóÐöíäó íõØöíÞõæäóåõ ÝöÏúíóÉñ ØóÚóÇãõ ãöÓúßöíäò Ýóãóä ÊóØóæøóÚó ÎóíúÑðÇ Ýóåõæó ÎóíúÑñ áøóåõ æóÃóä ÊóÕõæãõæÇú ÎóíúÑñ áøóßõãú Åöä ßõäÊõãú ÊóÚúáóãõæäó ﴿184﴾ ÔóåúÑõ ÑóãóÖóÇäó ÇáøóÐöíó ÃõäÒöáó Ýöíåö ÇáúÞõÑúÂäõ åõÏðì áøöáäøóÇÓö æóÈóíøöäóÇÊò ãøöäó ÇáúåõÏóì æóÇáúÝõÑúÞóÇäö Ýóãóä ÔóåöÏó ãöäßõãõ ÇáÔøóåúÑó ÝóáúíóÕõãúåõ æóãóä ßóÇäó ãóÑöíÖðÇ Ãóæú Úóáóì ÓóÝóÑò ÝóÚöÏøóÉñ ãøöäú ÃóíøóÇãò ÃõÎóÑó íõÑöíÏõ Çááøåõ Èößõãõ ÇáúíõÓúÑó æóáÇó íõÑöíÏõ Èößõãõ ÇáúÚõÓúÑó æóáöÊõßúãöáõæÇú ÇáúÚöÏøóÉó æóáöÊõßóÈøöÑõæÇú Çááøåó Úóáóì ãóÇ åóÏóÇßõãú æóáóÚóáøóßõãú ÊóÔúßõÑõæäó ﴿185﴾

183.  O voi che avete prestato fede, v’è stato prescritto il digiuno, come fu prescritto a coloro che [furono] prima di voi. Forse cosí diverrete timorati [di Allah]!

184.  [Digiunerete] in un determinato numero di giorni, ma chi è malato oppure è in viaggio, digiuni, in altri, lo stesso numero giorni. E per coloro che a stento potrebbero sopportarlo, c’è un riscatto: il nutrimento di un povero [per ogni giorno di digiuno]. Chi compie volontariamente un’opera meritoria, [deve sapere che] ciò è meglio per lui. E digiunare, è meglio per voi, se [lo] sapeste!

185.  Il mese di ramadan, [è il mese] in cui è stato fatto discendere il Corano, [libro che costituisce una sicura] guida per gli uomini e [contiene in sé] chiare prove di retta guida ed [è un infallibile mezzo di] distinzione [fra il bene e il male]. Ebbene, chiunque di voi ‘vedrà’ questo mese, dovrà digiunare nei suoi giorni; chi invece sarà malato o in viaggio, dovrà digiunare, in altri, lo stesso numero di giorni. Allah vuole per voi l’agio, non il disagio, affinché completiate il numero [dei giorni di digiuno] e glorifichiate Allah per avervi guidato sulla retta via. Forse cosí sarete riconoscenti.

COMMENTO

IL DIGIUNO, ECCEZIONALE FONTE DI TIMOR DI DIO

Dopo aver trattato alcuni importanti precetti islamici, ora il nobile Corano parla di uno dei piú importanti comandamenti divini, e, con lo stesso tono solenne dei versetti precedenti, ordina: “O voi che avete prestato fede, v’è stato prescritto il digiuno, come fu prescritto a coloro che [furono] prima di voi”

Subito dopo questo ordine, il sacro Verbo di Allah, espone una delle fondamentali ragioni del salvante precetto: “Forse cosí diverrete timorati [di Allah]!”

Essere timorati significa avere il potere di non peccare, di non trasgredire la legge divina, di fare sempre la volontà di Allah. La maggior parte dei peccati è indotta dall’ira e dalla lussuria, istinti perfettamente regolati dal digiuno, che controlla le passioni, diminuisce la corruzione e aumenta il timor di Dio negli uomini.

Siccome poi la pratica del digiuno comporta notevoli sacrifici, la privazione di una serie di piaceri materiali, fame, sete ecc., soprattutto in estate, il sacro Verbo di Allah, con una serie di singolari espressioni, prepara la gente a ubbidire a questo vitale comandamento. Si rivolge innanzitutto ai credenti con la significativa espressione: “O voi che avete prestato fede…”, poi fa loro capire di non essere i soli ai quali è stato ordinato di digiunare: “…v’è stato prescritto il digiuno, come fu prescritto a coloro che [furono] prima di voi…”, e infine rivela loro una delle ragioni fondamentali di questo precetto: “…Forse cosí diverrete timorati [di Allah]!”, ricordando cosí uno dei piú grandi benefici recati al credente da questa pratica divina, e alleviandogli cosí le difficoltà che ne derivano.

In una tradizione dell’imam Sadiq (A) leggiamo: «Il piacere che esiste nel richiamo “O voi che avete prestato fede”, ha eliminato le difficoltà di questo atto di adorazione»[233]

Nel versetto successivo, il sacro Corano, al fine di alleviare ulteriormente le difficoltà del digiuno, aggiunge altre prescrizioni, iniziando dalla seguente: “[Digiunerete] in un determinato numero di giorni…”, rassicura cioè i credenti, affinché non pensino di dover digiunare per un lungo periodo, si tratta solo di pochi giorni all’anno, un solo mese all’anno, il sacro mese (lunare) di ramadan. Aggiunge poi: “…ma chi è malato oppure è in viaggio, digiuni, in altri, lo stesso numero giorni…”. Ma ad alcuni potrebbe risultare difficile digiunare, perciò il sacro Verbo li rassicura continuando: “…E per coloro che a stento potrebbero sopportarlo, c’è un riscatto: il nutrimento di un povero [per ogni giorno di digiuno]…”, e ai piú generosi e devoti consiglia: “…Chi compie volontariamente un’opera meritoria, [deve sapere che] ciò è meglio per lui…”. Conclude dunque dando un ultimo importante consiglio ai credenti riguardo a questo fondamentale precetto: “…E digiunare, è meglio per voi, se [lo] sapeste!”

Questa frase ci fa comprendere che gli unici ad avere bisogno del digiuno, e a trarre vantaggio da esso, siamo noi, e che il Signore Eccelso, l’Autosufficiente, non ha alcun bisogno del nostro digiuno, dei nostri atti di adorazione, e se ci ordina di fare qualcosa è solo per il nostro bene. Questo concetto è ribadito anche da alcune tradizioni, tra le quali ricordiamo le seguenti:

  1. Il Messaggero di Allah disse: “Chiunque digiuni nel mese di ramadan per Allah, gli saranno perdonati tutti i peccati”[234]
  2. In un hadith qudsiyy il Signore Eccelso dice: “Il digiuno è per Me, e sono Io a premiare [i Miei servi] per averlo compiuto”[235]
  3. Il Messaggero di Allah disse: “Per ogni cosa v’è una zakah, e la zakah del corpo è il digiuno”[236]

Quanto abbiamo ora detto ci fa comprendere che la frase “E digiunare, è meglio per voi, se [lo] sapeste!” è riferita a tutti i credenti, e non a un particolare gruppo di essi.

L’ultimo versetto in esame specifica il mese in cui bisogna effettuare il digiuno obbligatorio, il mese di ramadan. Espone inoltre una serie di norme riguardanti questo sacro precetto, esponendone altresí le ragioni. Inizia quindi parlando del mese benedetto, nel quale l’Altissimo ha rivelato il Suo sacro e infallibile Verbo al Suo Inviato, il santo profeta Muhammad (S): “Il mese di ramadan, [è il mese] in cui è stato fatto discendere il Corano, [libro che costituisce una sicura] guida per gli uomini e [contiene in sé] chiare prove di retta guida ed [è un infallibile mezzo di] distinzione [fra il bene e il male]”

Poi continua ricordando il grande dovere che i mussulmani hanno in questo benedetto mese, ripetendo altresí le norme inerenti al digiuno di coloro che sono in viaggio e delle persone malate: “Ebbene, chiunque di voi ‘vedrà’ questo mese, dovrà digiunare nei suoi giorni; chi invece sarà malato o in viaggio, dovrà digiunare, in altri, lo stesso numero di giorni”

È possibile che il sacro Corano abbia ripetuto le norme inerenti al digiuno di coloro che sono in viaggio e delle persone malate, per mettere in evidenza che l’obbligo del digiuno non è assoluto, ma ammette eccezioni. È infatti possibile che alcuni pensino erroneamente che non digiunare o rompere il digiuno iniziato sia in ogni caso contrario alle norme islamiche. Ebbene, il sacro Verbo di Allah, vuole far capire che il mussulmano è tenuto a fare il digiuno nel mese benedetto, ma è anche tenuto a romperlo o ad astenersi dal farlo nel caso in cui si metta in viaggio, o digiunare divenga dannoso per la sua salute.

Nell’ultima parte del versetto in esame, il sacro Corano parla di nuovo delle ragioni di questo santo precetto: “Allah vuole per voi l’agio, non il disagio…”

Certo, se è vero che digiunare comporta difficoltà e sacrifici, è pur vero che il digiuno apporta al credente vantaggi spirituali e materiali, rinforza la sua fede, il suo timor di Dio, la sua volontà, e persino il suo corpo, come vedremo piú avanti trattando in modo piú approfondito alcune delle ragioni che lo hanno reso obbligatorio.

È possibile che quest’ultima frase si riferisca al fatto che gli ordini di Dio non sono come quelli dei sovrani tiranni, che ignorano i problemi e le necessità della gente, ma vengono incontro ai servi di Dio alleggerendo i loro doveri quando questi fossero troppo pesanti per loro. È per questo motivo che vediamo che nel sacro Corano è stato designato un dovere alternativo per le persone che non sono in grado di digiunare o che sono in particolari condizioni di disagio, come di solito accade in viaggio.

Poi aggiunge: “…affinché completiate il numero [dei giorni di digiuno]…”, intendendo che ogni essere umano sano deve digiunare un intero mese all’anno, per educare e risanare il proprio corpo ed elevare il proprio spirito. Perciò, se nel mese di ramadan dovesse essere in viaggio, oppure non fosse in grado di digiunare per malattia, ebbene, dovrà in ogni caso recuperare i giorni di digiuno persi per completare il numero di giorni di digiuno prescritti. Anche le donne che nel periodo mestruale non possono digiunare e nemmeno pregare, se non hanno nessun obbligo di recuperare le preghiere perse, devono invece recuperare i digiuni persi, e completare il mese prescritto.

Alla fine del versetto il sacro Corano afferma: “…e glorifichiate Allah per avervi guidato sulla retta via. Forse cosí sarete riconoscenti”

Certo, tutti noi dobbiamo celebrare la gloria del Signore Eccelso per averci guidato al bene e alla virtú, ed esserGli riconoscenti per tutti i doni che ci ha elargito.

È interessante comprendere la ragione per la quale la glorificazione di Dio è espressa, nel versetto in esame, in modo deciso e certo, a differenza di quando parla della gratitudine verso l’Altissimo, dove usa il forse: “…Forse cosí sarete riconoscenti”. È possibile che ciò sia dovuto al fatto che compiere il digiuno è in ogni caso una forma di glorificazione del Sommo Vero, diversamente dalla gratitudine, che consiste nell’usare i suoi doni in modo giusto e appropriato, e trarre vantaggio dai salvanti effetti del digiuno, e che si realizza solo a determinate condizioni, le piú importanti delle quali sono possedere una devozione assoluta e completa, e conoscere la vera natura e la reale essenza del digiuno.

OSSERVAZIONI

I positivi effetti del digiuno sullo spirito, sul corpo e sulla società

Tra i diversi benefici recati dal digiuno all’uomo e alla società, sicuramente, il piú importante è quello relativo alla sfera spirituale.

Il digiuno purifica l’anima, rinforza la volontà, e affrena gli istinti animali. Durante il digiuno il credente deve combattere i suoi istinti, vincere la sete, la fame, rinunciare ai piaceri sessuali, e dimostrare praticamente di differire dalle bestie, guidate e dominate dagli istinti.

In realtà, la principale ragione che sostiene questo fondamentale precetto, è lo straordinario effetto beneficante e vitalizzante che è in grado di esercitare sullo spirito umano. Colui che ha a disposizione ogni tipo di cibo e di bevanda, e che non appena ha fame o sete, se ne serve per sfamarsi e per dissetarsi, è come l’albero che cresce in un giardino curato e protetto, accanto a un ruscello, che non potrà mai essere un albero forte, resistente e longèvo, e avrà sempre bisogno di cure e acqua in abbondanza per rimanere in vita. Al contrario, le piante che crescono nel cuore delle montagne, tra le aride rocce, o quelle che resistono al cocente caldo delle aride steppe, percosse e agitate violentemente da terribili e distruttivi venti, tormentate in estate dal sole e in inverno dal gelo e dalle nevi, ebbene, queste piante sono dotate di incredibile forza, resistenza e longevità.

In modo analogo, il digiuno è in grado di temprare l’anima, e con una serie di restrizioni è capace rende l’uomo forte e tenace, rinforza la sua volontà, e gli rende piú facile la sopportazione delle difficoltà. Il digiuno, domando gli istinti, è in grado di donare luce e quiete al cuore.

Il digiuno salva l’uomo dal giogo delle passioni, e lo eleva spiritualmente, lo dimostra la frase “Forse cosí diverrete timorati [di Allah]!”, e la seguente celebre tradizione: “Il digiuno è uno scudo contro il fuoco dell’Inferno”[237]

In un altro hadith, del nobile imam Alí (A), leggiamo: «Fu chiesto al sommo Profeta (S): “Che cosa possiamo fare per allontanare Satana da noi stessi”. Disse allora il santo Profeta: “Il digiuno rende nero il viso di Satana, l’elemosina rompe la sua schiena, amare per Dio e vigilare sulle buone azioni tagliano la sua coda, e chiedere perdono a Dio per i peccati commessi gli taglia la vena del cuore”»[238]

Quando il Principe dei Credenti, Alí (A), in una delle tradizioni della celebre opera Nahju-l-balaaghah, nell’esporre le ragioni degli atti di adorazione, arriva al digiuno, afferma: “Il digiuno serve a rendere devoti gli uomini”[239]

In un’altra tradizione del sommo profeta Muhammad (S) leggiamo: “In verità, il Paradiso ha una porta chiamata Riyaan [che significa “dissetata”], dalla quale entrano solo coloro che hanno adempiuto all’obbligo del digiuno”

Il celebre Saduq, nella sua opera Ma´aani-l’akhbaar, commentando questa tradizione afferma: “Questa porta è stata chiamata cosí perché la maggiore fatica del digiunante è sopportare la sete. Quando i credenti che hanno adempiuto all’obbligo del digiuno attraversano questa porta, si dissetano per sempre, e da quel momento in poi non avranno mai piú sete”[240]

Tutti possono comprendere che il digiuno è un’eccellente lezione di uguaglianza. Digiunando, gli abbienti possono sentire e  comprendere cosa provano i poveri che soffrono la fame, che non hanno sufficienti mezzi di sostentamento per vivere, e in tal modo possono aiutarli a vivere meglio, e avere una vita felice.

Qualcuno potrebbe obiettare che non c’è bisogno di fare patire fame e sete ai ricchi per far loro comprendere quanto soffrono i poveri e gli indigenti, basta descrivere loro le condizioni nelle quali sono costretti a vivere. Rispondiamo a questa obiezione dicendo che l’effetto di un’esperienza diretta è di gran lunga maggiore di quello che potrebbero avere le parole e le descrizioni. Il digiuno sensibilizza l’abbiente con il piú efficace dei metodi, quello dell’esperienza personale, della prova diretta. A tal proposito, in una celebre tradizione del santo imam Sadiq (A), leggiamo: «Hisham Bin Hakam chiese all’Imam le ragioni per le quali Dio ha disposto il digiuno. Egli rispose: “Il digiuno è stato reso obbligatorio affinché vi sia uguaglianza tra ricchi e poveri, affinché l’abbiente comprenda cos’è la fame, e dia al povero quel che gli spetta di diritto, poiché, di solito, i ricchi possono avere tutto ciò che vogliono. Dio vuole che ci sia uguaglianza tra le Sue creature, vuole far comprendere ai ricchi cosa sia la fame, inducendoli cosí ad avere pietà verso i deboli e i poveri”[241]

Se tutte le persone che vivono nei paesi ricchi digiunassero pochi giorni l’anno, e provassero cosí la fame e la sete, forse non ci sarebbero piú milioni di persone che soffrono la fame e la sete, e che vivono nella miseria piú assoluta, come purtroppo accade oggi.

I benefici del digiuno sul corpo umano

La medicina moderna, come del resto quella antica, ha dimostrato con assoluta certezza i miracolosi benefici del digiuno sul corpo umano. Quasi tutti i grandi medici hanno ricordato questi benefici nei loro scritti, poiché tutti noi ben sappiamo che molte delle malattie sono causate dall’ingestione di alimenti in quantità considerevolmente eccedente il fabbisogno vivente.

Il digiuno è in grado di bruciare l’eccesso di tessuto adiposo, e donare salute e benessere al corpo. Permette inoltre agli organi e agli apparati che partecipano alla digestione di riposare, e di riacquistare forza e vigore.

È poi evidente che l’Islam sconsigli l’eccesso nel mangiare prima di iniziare in digiuno e al momento della rottura dello stesso, e ciò per poter giovarsi dei benefici che esso dona al corpo e allo spirito, diversamente è possibile che si ottenga il risultato opposto: un digiuno compiuto in modo non equilibrato può nuocere alla salute e all’anima.

Uno scienziato russo, in un suo libro, scrive: “La terapia che si basa sul digiuno è particolarmente utile per curare malattie come l’anemia, l’indebolimento dell’intestino, le infiammazioni semplici e croniche, gli ascessi esterni e interni, la sifilide, i reumatismi, la gotta, l’idropisia, la nevrastenia, la sciatalgia e il diabete. Egli afferma inoltre che questa pratica si rivela utile nella cura di alcune malattie degli occhi, della pelle, dei reni e del fegato, ed è addirittura in grado di curare gravi patologie quali il tumore, la tubercolosi e la peste.[242]

In un celebre hadith del nobile Profeta dell’Islam (S), leggiamo: “Digiunate affinché possiate diventare sani”[243], mentre in un’altra sua celebre tradizione, dice: “Lo stomaco è la dimora di ogni male, e l’astinenza è la migliore medicina”[244]

Il digiuno e i popoli del passato

Dalla Torà e dal Vangelo è possibile dedurre che anche giudei e cristiani osservavano il precetto del digiuno; altre popolazioni digiunavano quando erano afflitti e malinconici, come testimonia il “Dizionario delle Sacre Scritture”, che a tal proposito afferma: “Il digiuno è sempre stato praticato, da tutte le tribú, da tutti i popoli, e in tutte le religioni, nei momenti di tristezza e difficoltà inaspettate”[245]

La Torà dimostra altresí che una volta Mosè digiunò per quaranta giorni: “Quando andai sul monte [Sinai] a prendere le Tavole della Legge, allora rimasi lí quaranta giorni e quaranta notti, senza mangiare pane né bere acqua”[246]

I giudei digiunavano anche quando volevano pentirsi delle proprie colpe, per ottenere in consenso divino: «I giudei, appena ne avevano l’occasione, digiunavano per manifestare la propria impotenza e inferiorità di fronte a Dio, per umiliarsi dinanzi a Lui, al fine di poter confessarGli i propri peccati, e, attraverso il digiuno e il pentimento, ottenere il Suo consenso…È possibile che il “digiuno supremo con espiazione” sia stato un particolare digiuno di un giorno all’anno, praticato usualmente dai giudei, che facevano anche diversi digiuni momentanei per diverse ragioni, come, ad esempio, per commemorare la distruzione di Gerusalemme »[247]

Anche il nobile profeta Gesú, come dimostra il Vangelo, una volta digiunò per quaranta giorni: “Gesú fu allora portato nel deserto dalla forza dello spirito, affinché fosse provato dal Diavolo…Digiunò dunque quaranta giorni e quaranta notti…”[248]

Il Vangelo di Luca attesta che anche gli Apostoli di Gesú digiunavano.[249]

Ancora nel Dizionario delle Sacre Scritture, leggiamo: “Perciò la vita degli Apostoli, e dei credenti delle epoche passate, era una vita piena di rifiuto dei piaceri materiali, di fatiche, e di digiuno”[250]

Dunque, la frase coranica “…come fu prescritto a coloro che [furono] prima di voi…” è sostenuta da numerose prove storiche, contenute tuttora nelle fonti delle altre religioni.