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COMMENTO

IN QUALE OCCASIONE FU RIVELATO IL VERSETTO?

Si narra che un giorno Ma´aazh Bin Jabal disse al sommo Profeta: “Siamo stati ripetutamente interrogati sui noviluni, e ci è stato chiesto perché la luna continua a crescere e decrescere”. Si narra anche che i giudei chiesero al Messaggero di Allah: “Perché ci sono i noviluni, e a che cosa servono?”. Fu allora rivelato il versetto in esame, e rispose in modo esauriente a queste domande, dicendo che le varie fasi e posizioni della luna giovano agli uomini, materialmente e spiritualmente.

COMMENTO

Come abbiamo poc’anzi detto, alcuni fecero al santo Messaggero di Allah (S) delle domande sui noviluni, chiedendogli le ragioni e i vantaggi di questo fenomeno. Il Signore Eccelso rivelò allora il versetto in esame, e rispose a queste domande, ordinando al sommo Profeta (S) di esporre gli effetti e i vantaggi dei noviluni: «…Di’: “Servono alla gente per il computo del tempo e per l’hajj [il pellegrinaggio]”…»

Certo, il sorgere della luna, all’inizio di ogni mese lunare, e poi il suo crescere e decrescere, è assai utile a determinare l’inizio e la fine di alcuni riti islamici, quali il digiuno e l’hajj, e, altresí, aiuta la gente nei loro affari, commerci, nel determinare le scadenze, e stipulare gli affari.

In realtà, la luna è un “calendario” naturale, universale, che tutti gli uomini possono facilmente comprendere e utilizzare, in ogni parte del mondo. Non solo è utile a determinare l’inizio, la fine e la metà del mese, ma, osservando il suo grado di crescita o riduzione, è anche possibile determinare l’esatto giorno del mese.

Per concludere ricordiamo che gli uomini non possono fare assolutamente a meno di un sistema per dividere, distribuire e determinare il tempo, ed è per questo che il Creatore ha messo a disposizione di tutti gli uomini, in tutti i luoghi e in ogni epoca, questo straordinario e perfetto calendario naturale.

SCALE E MISURE NATURALI

Uno dei pregi delle leggi islamiche, è che in esse vengono sempre usati pesi, misure, strumenti e metodi di misura naturali, poiché essi sono alla portata di tutti, sono universali ed eterni, diversamente dai pesi, dalle misure, e dagli strumenti di misura non naturali, dei quali non tutti possono disporre, nemmeno oggi, nell’era della modernità. È dunque questo il motivo per cui l’Islam, ad esempio, usa, come misure e mezzi di misurazione, la spanna, il passo, il tramonto del sole, l’alba, il mezzogiorno vero, la luna e le sue fasi, etc.

Il versetto prosegue poi dicendo: “Il bene non consiste nell’entrare nelle case dalla parte posteriore…”

Qui il sacro Corano, parlando dell’hajj, del novilunio come mezzo per determinarne l’inizio, condanna e vieta una delle superstizione dell’era preislamica riguardante questo sacro rito: prima dell’avvento dell’Islam, quando i pellegrini avevano addosso il vestito dell’ihraam non entravano nelle case dalla porta, ed erano convinti che il muhrim non dovesse entrare in una casa dalla porta, e per questo motivo durante tutto il periodo dell’ihraam aprivano un passaggio dietro le proprie e lo usavano per entrare in esse. Essi assumevano questo comportamento perché erano convinti che esso fosse giusto, perché lo consideravano come l’abbandono di un’abitudine, e con esso pensavano erroneamente di completare l’ihraam[269], che consiste nell’abbandonare una serie di abitudini, nell’astenersi dal compiere atti che nella vita di ogni giorno sono abituali. Questo però non significa che il muhrim debba abbandonare tutti queste azioni consuete, ed è per tale motivo che il sacro Corano afferma decisamente: “Il bene non consiste nell’entrare nelle case dalla parte posteriore, ma il bene è [quello di] chi è timorato [di Allah]”, e, immediatamente, ordina: “Entrate nelle case passando per le porte e temete Allah, forse cosí raggiungerete la beatitudine”

Questo versetto ha anche un significato piú esteso e generale: ogni atto, ogni dovere, religioso e non, deve essere compiuto nel modo esatto, secondo la giusta norma, e non di testa propria, secondo una serie di personali valutazioni e di assurde superstizioni. Ciò è confermato da una tradizione del santo imam Baaqir narrata da Jaabir[270].

Il tafsir Majma´u-l-bayaan, commentando questo versetto, narra la seguente tradizione islamica: “Noi [Ahlulbayt] siamo le porte di Allah, le vie che conducono a Lui, gli apostoli del Paradiso”[271]

Certo, per accedere correttamente a qualsiasi conoscenza religiosa bisogna entrare dalla porta principale, bisogna rivolgersi ai possessori della sapienza suprema, al sommo Profeta e alla sua nobile Famiglia, poiché la rivelazione è discesa sulla loro casa, essi sono cresciuti nella scuola della rivelazione divina.

È possibile che la frase “Il bene non consiste…” alluda a un’altra sottile verità, potrebbe cioè voler dire che: il vostro domandare dei noviluni, al posto di domandare del sapere religioso, è come il comportamento di chi per entrare in una casa trascura l’ingresso principale ed entra dalla parte posteriore, attraverso uno stretto passaggio.

VERSETTO 190

æóÞóÇÊöáõæÇú Ýöí ÓóÈöíáö Çááøåö ÇáøóÐöíäó íõÞóÇÊöáõæäóßõãú æóáÇó ÊóÚúÊóÏõæÇú Åöäøó Çááøåó áÇó íõÍöÈøö ÇáúãõÚúÊóÏöíäó ﴿190﴾

190.  Combattete sulla via di Allah contro coloro che vi combattono, e non prevaricate: in verità, Allah non ama coloro che eccedono i limiti [da Lui imposti].

COMMENTO

Bin Abbas narra che questo versetto fu rivelato in occasione della Pace di Hudaybiyyah. Un anno, il santo Messaggero di Allah, con millequattrocento dei suoi seguaci, si preparò per il sacro rito dell’umrah. Quando arrivarono nei pressi di Hudaybiyyah [località vicina alla sacra città della Mecca], i politeisti impedirono loro di entrare alla Mecca, e di eseguire l’umrah. Dopo una lunga trattativa, arrivarono ad un accordo con il sommo Profeta, e s’impegnarono affinché egli potesse, l’anno successivo, venire alla Mecca ed eseguire l’umrah; gli promisero inoltre che avrebbero sgombrato la città per permettergli di eseguire il tawaaf della sacra Casa di Allah. L’anno seguente, quando il santo Profeta e i suoi fedeli si prepararono per andare alla Mecca, temevano che i politeisti non rispettassero i patti, e impedissero loro di entrare nella santa città, e che ciò provocasse una guerra tra di loro. Il nobile Profeta era preoccupato di dover combattere in uno dei mesi in cui la guerra è proibita, ma ad un tratto Allah rivelò in versetto il esame e permise loro di difendersi, e combattere in un’eventuale battaglia contro i politeisti.

Il glorioso Corano in questo nobile versetto ordina ai mussulmani di combattere coloro che li attaccano, e di difendersi con qualsiasi mezzo lecito che hanno a disposizione. È dunque finito il periodo in cui i credenti dovevano pazientare e sopportare le ingiustizie dei miscredenti e dei politeisti. Ora possono combattere e difendere i propri diritti.

PERCHÉ DOBBIAMO COMBATTERE, E CONTRO CHI?

Da questo versetto possiamo dedurre tre fondamentali concetti, che chiariscono completamente come la sacra religione islamica concepisce la guerra.

Con l’espressione “Combattete sulla via di Allah” il sacro Verbo d’Allah vuole esprime l’obiettivo principale per il quale devono combattere i credenti, i quali, secondo l’Islam, non devono combattere per vendicarsi, per conquistare le terre altrui, per dominare gli altri popoli, per depredare il loro denaro e le loro ricchezze, e occupare le loro terre. La religione islamica ci permette di impugnare le armi e intraprendere la jihad solo sulla via del Signore Eccelso, per diffondere le leggi divine, realizzare la giustizia, e sradicare la miscredenza, l’empietà e l’ingiustizia.

Dall’espressione “contro coloro che vi combattono”, è possibile comprendere chiaramente che ai mussulmani è permesso solo difendersi, e non attaccare per primi, ad eccezione però dei casi che esporremo piú avanti, nel commento ai versetti della gihad, nei quali possono anche iniziare la guerra per primi.

Da questo versetto è inoltre possibile dedurre che i mussulmani non hanno assolutamente il diritto di fare guerra ai civili, ai non militari, come i vecchi, i bambini e le donne, perché essi non combattono contro di loro.

È per questo motivo che la grande Guida dell’Islam, il nobile imam Alí Bin Abitaalib (A), ordina ai suoi soldati: “Non attaccateli finché non vi attaccano, poiché, in verità, grazie a Dio, voi siete nel giusto, e il fatto che non siete voi a iniziare la guerra è un’altra prova del fatto che siete nel giusto”[272]

Le dimensioni della guerra permessa dall’Islam, sono poi determinate dalla frase “e non prevaricate”, poiché la guerra, nella religione islamica, è per Dio, e sulla Sua via, e persegue sacri obiettivi. Sulla via del Signore Eccelso non è ammessa alcuna prevaricazione. È altresí per questo motivo che l’Islam fa, ai suoi fedeli in guerra, numerose raccomandazione etiche. Ad esempio, vieta ai mussulmani di combattere coloro che hanno deposto le armi, o che non hanno la forza di combattere; proibisce di distruggere i giardini e gli alberi, e di inquinare le terre e le acque.

Il santo imam Alí (A) dice: “Quando con l’aiuto di Allah sconfiggete l’armata nemica, non uccidete i fuggiaschi e i feriti, non molestate le donne, quand’anche vi offendano e insultino i vostri capi”[273]

Con quanto abbiamo detto commentando questo sacro versetto, è possibile smentire coloro che accusano la gihad islamica d’essere crudele e violenta. Nel commento degli altri versetti della gihad daremo maggiori spiegazioni in merito.

VERSETTO 191

æóÇÞúÊõáõæåõãú ÍóíúËõ ËóÞöÝúÊõãõæåõãú æóÃóÎúÑöÌõæåõã ãøöäú ÍóíúËõ ÃóÎúÑóÌõæßõãú æóÇáúÝöÊúäóÉõ ÃóÔóÏøõ ãöäó ÇáúÞóÊúáö æóáÇó ÊõÞóÇÊöáõæåõãú ÚöäÏó ÇáúãóÓúÌöÏö ÇáúÍóÑóÇãö ÍóÊøóì íõÞóÇÊöáõæßõãú Ýöíåö ÝóÅöä ÞóÇÊóáõæßõãú ÝóÇÞúÊõáõæåõãú ßóÐóáößó ÌóÒóÇÁ ÇáúßóÇÝöÑöíäó ﴿191﴾

191.  Uccideteli ovunque li troviate, e scacciateli da dove vi hanno scacciati: la fitnah [miscredenza] è peggio dell’uccidere. Ma non attaccateli presso la Masjidu-l-haraam, fino a che non vi abbiano aggredito in essa. Se dunque vi assalgono, uccideteli: questa è la punizione dei miscredenti.

COMMENTO

Questo versetto ordina ai mussulmani di combattere gli idolatri della Mecca, che li hanno scacciati dalla loro patria, dalle loro case, e di riservare loro lo stesso trattamento, scacciandoli dalla Mecca. Questo empi politeisti per anni molestarono e torturarono i credenti, e ciò, per essi, era peggio dell’essere uccisi. In effetti, chi viene ucciso perde la propria vita terrena, ma, in cambio, raggiunge l’eterna felicità ultraterrena; chi invece subisce molestie e torture non gode né dei doni e delle comodità di questo mondo né della beatitudine dell’aldilà.

Malgrado ciò, Allah ordina di non combatterli nella Masjidu-l-haraam, e ciò per rispetto della sacralità di questo nobile santuario, eccetto nel caso in cui essi manchino di rispetto a questo sacro luogo aggredendoli in esso.

OSSERVAZIONI

  1. In alcuni casi l’Islam ordina di rispondere alle offese usando la forza, con assoluta decisione.
  2. L’Haram e la Masjidu-l-haraam sono luoghi sacri, ma il sangue, la vita dei mussulmani sono piú sacri, tanto che il Signore Eccelso permette loro di difendersi in tali luoghi contro i loro nemici facendo loro guerra.
  3. Nello stesso modo in cui non bisogna iniziare per primi la guerra, non bisogna nemmeno violare per primi le cose sacre.
  4. La conoscenza delle ragioni di un precetto induce gli uomini a sottomettersi ad esso con piú facilità. In questo versetto il sacro Corano svela la ragione dell’ordine in esso contenuto, ricordando ai credenti le terribili torture loro inflitte dagli empi idolatri.

VERSETTO 192

ÝóÅöäö ÇäÊóåóæúÇú ÝóÅöäøó Çááøåó ÛóÝõæÑñ ÑøóÍöíãñ ﴿192﴾

192.  Se però desistono, allora, in verità, Allah è clemente e benevolo.

COMMENTO

In questo versetto il sacro Corano c’insegna che Allah accoglie il pentimento di coloro che rinnegano l’idolatria e il politeismo, e si convertono all’Islam.

VERSETTO 193

æóÞóÇÊöáõæåõãú ÍóÊøóì áÇó Êóßõæäó ÝöÊúäóÉñ æóíóßõæäó ÇáÏøöíäõ áöáøåö ÝóÅöäö ÇäÊóåóæÇú ÝóáÇó ÚõÏúæóÇäó ÅöáÇøó Úóáóì ÇáÙøóÇáöãöíäó ﴿193﴾

193.  Combatteteli fino a che non ci sia piú fitnah e l’unica religione sia quella di Allah. Se dunque desistono, non ci sia ostilità, se non contro gli iniqui.

COMMENTO

Questo versetto ricorda gli obiettivi della gihad, affermando che non si combatte per conquistare le terre degli altri popoli, per dominarli e depredare i loro averi, per conquistare nuovi mercati, o appropriarsi delle materie prime preziose, o per motivi razziali o di classe.

Si deve combattere per ordine divino, per ottenere il consenso del Signore Eccelso, per instaurare la giustizia sociale, per guidare la gente al bene e alla virtú, per debellare la miscredenza, il politeismo, l’idolatria, per eseguire i comandamenti divini. Combattere dunque per sradicare la fitnah dalla società umana, deve essere allora considerata una causa sacra e giusta.

Alla fine del versetto il sacro Corano ricorda che nel caso in cui i nemici si pentano e abbandonino per sempre la miscredenza e l’idolatria, i mussulmani non hanno alcun diritto di fare loro guerra né di vendicarsi, poiché è solo lecito combattere gli empi e gli iniqui.

Le gihadat islamiche possono essere suddivise nelle seguenti tre classi:

  1. la gihad di liberazione;
  2. la gihad di difesa;
  3. la gihad che mira alla distruzione del politeismo e dell’idolatria.

LA GIHAD DI LIBERAZIONE

Il Signore Altissimo ha rivelato alcuni comandamenti per la beatitudine, la libertà, la quiete, la salvezza e la perfezione umana, incaricando i Suoi inviati di comunicarli alla gente. Ora, se alcuni si oppongono alla comunicazione di questi salvanti precetti, ebbene, i santi profeti hanno il diritto, dopo averli ammoniti e avvertiti pacificamente, di fare loro guerra, e rimuovere ogni ostacolo.

In altre parole, la gente ha, in ogni società, il diritto di sentire la voce, il richiamo degli araldi della verità, e deve essere libera di accettare o meno il loro invito. Ora, se alcuni decidono di privare gli uomini di questo loro legittimo diritto, e impedire loro di sentire la voce di questi santi messaggeri, che è in grado di donare loro libertà e salvezza eterna, ebbene, i seguaci di questi nobili nunzi di verità hanno il sacrosanto diritto di fare giustizia con qualsiasi mezzo lecito a loro disposizione. Quanto abbiamo ora detto chiarisce la necessità della “gihad di liberazione” nell’Islam e nelle altre religioni celesti.

Parimenti, se alcuni premono sui credenti per indurli a ritornare alla religione seguita in passato, ebbene, anche in questo caso è possibile fare giustizia, liberare i credenti da tali pressioni con qualsiasi mezzo lecito a disposizione.

LA GIHAD DI DIFESA

A volte la guerra viene imposta ai credenti, nel senso che subiscono un attacco da parte di un nemico. In questo caso, tutte le leggi divine e umane permettono loro di difendersi e respingere il nemico con qualsiasi mezzo lecito a loro disposizione. Questo tipo di gihad prende il nome di “gihad di difesa”. Le celebri guerre degli Ahzaab [fazioni], di Uhud, Mutah, Tabuk, Hunayn, e altre guerre combattute dai mussulmani ai primordi dell’Islam, erano tutte gihad di difesa.

LA GIHAD CHE MIRA ALLA DISTRUZIONE DEL POLITEISMO E DELL’IDOLATRIA

L’Islam oltre ad invitare l’umanità a scegliere e seguire questa salvante religione, ultima e piú completa delle religioni, rispetta anche le opinioni altrui. È per questo motivo che concede alle genti che seguono uno dei libri celesti rivelati dal Signore Altissimo sufficiente tempo per meditare ed accettare l’Islam, e nel caso in cui non si convincano stringe con loro un patto, e le tratta come “minoranze alleate”, e convive con loro proteggendole, a patto che rispettino determinate semplici condizioni. Quanto invece al politeismo e al feticismo, l’Islam non li considera assolutamente delle religioni, non li ritiene degni del minimo rispetto, anzi, li considera superstizione, deviazione, stoltezza, aberrazione mentale e morale, da debellare a tutti i costi.

Secondo l’Islam il termine “libertà di pensiero”, l’espressione “rispetto delle opinioni altrui”, hanno significato dove almeno il pensiero e le opinioni sono basate su princípi giusti e corretti. È dunque chiaro che per la religione islamica la superstizione, la deviazione, l’idolatria, il politeismo non meritano né libertà né rispetto. È per questo che la sacra legge islamica ordina di debellare a tutti i costi queste empie forme di aberrazione mentale e morale, anche a costo di fare guerra ai sostenitori e ai seguaci di queste abiette forme di miscredenza.

PERCHÉ IL PRECETTO DELLA GIHAD È STATO RIVELATO A MEDINA?

Sappiamo che la gihad è diventata un obbligo per i mussulmani solo a partire dal secondo anno dell’Egira.

La ragione di questo fatto è chiara, poiché, da una parte, alla Mecca il numero dei mussulmani era cosí basso che essi non potevano sostenere assolutamente una guerra contro i loro nemici, e, dall’altra parte, alla Mecca i nemici dell’Islam erano straordinariamente potenti. La Mecca era in realtà il quartiere generale dei nemici dell’Islam, e perciò non era possibile combatterli in questa sacra città. Quando invece il sommo Profeta compí l’Egira, fuggí dalla Mecca a Medina, un gran numero di persone gli prestó fede, si convertí all’Islam, e fu allora che il santo Messaggero di Allah rese pubblico il suo invito alla religione islamica, e iniziò a richiamare la gente alla verità fuori e dentro la sacra Medina, e riuscì a creare, in questa città, un semplice governo, e a procurare i mezzi necessari alla lotta contro il nemico. Siccome la distanza che separava le due città della Mecca e Medina era relativamente grande, il santo Profeta riuscì a compiere questo lavoro con tranquillità, e le forze rivoluzionarie, di liberazione riuscirono a prepararsi agevolmente a fare guerra all’empio nemico.

VERSETTO 194

ÇáÔøóåúÑõ ÇáúÍóÑóÇãõ ÈöÇáÔøóåúÑö ÇáúÍóÑóÇãö æóÇáúÍõÑõãóÇÊõ ÞöÕóÇÕñ Ýóãóäö ÇÚúÊóÏóì Úóáóíúßõãú ÝóÇÚúÊóÏõæÇú Úóáóíúåö ÈöãöËúáö ãóÇ ÇÚúÊóÏóì Úóáóíúßõãú æóÇÊøóÞõæÇú Çááøåó æóÇÚúáóãõæÇú Ãóäøó Çááøåó ãóÚó ÇáúãõÊøóÞöíäó ﴿194﴾

194.  Mese sacro per mese sacro! [Per la profanazione di tutte] le cose sacre [v’è] un qisàs [una vendetta]. Aggredite dunque coloro che vi aggrediscono, nello stesso modo in cui essi vi aggrediscono [senza però eccedere i limiti imposti da Allah]. Temete Allah e sappiate che, in verità, Allah è con i timorati.

COMMENTO

In ogni anno esistono quattro mesi che godono di un rispetto particolare, nei quali è assolutamente proibito fare guerra. Tre di questi mesi sono consecutivi, e sono i mesi lunari di zhu-l-qa´dah, zhu-l-hajjah e muharram, e uno è isolato, ed è il sacro mese di rajab. È interessante notare che uno dei motivi per il quale il primo dei sopraccitati mesi è stato chiamato zhu-l-qa´dah, è che in questo mese è necessario effettuare il qu´ud, e cioè è necessario sedersi, ovvero astenersi dal combattere.

L’Islam ogni anno proclama quattro mesi di assoluta tregua, di totale cessate il fuoco, ma non bisogna dimenticare che il nemico è sempre in agguato per sfruttare ogni occasione favorevole, perciò il versetto afferma: “[Per la profanazione di tutte] le cose sacre [v’è] un qisàs [una vendetta]”, e cioè: “Se il nemico approfitta del divieto di combattere impostovi nei quattro mesi sacri, ebbene, voi avete il diritto di difendervi, e respingerlo, poiché l’Islam e il suo governo hanno maggiore importanza di questi mesi”. Poi il sacro Corano espone una legge generale, dicendo: “Aggredite dunque coloro che vi aggrediscono, nello stesso modo in cui essi vi aggrediscono [senza però eccedere i limiti imposti da Allah]”. Certo, l’Islam non è la religione della prevaricazione e dell’iniquità, bisogna dunque mantenersi dentro i limiti imposti dal Signore Eccelso. Il sacro Corano ribadisce questo concetto concludendo il versetto nel seguente modo: “Temete Allah e sappiate che, in verità, Allah è con i timorati”

OSSERVAZIONI

  1. Nell’Islam non esistono situazioni senza vie d’uscita: l’Islam e la vita dei mussulmani sono piú importanti di ogni luogo e di ogni tempo.
  2. Bisogna essere giusti persino in guerra: “Aggredite dunque coloro che vi aggrediscono, nello stesso modo in cui essi vi aggrediscono [senza però eccedere i limiti imposti da Allah]”
  3. Il rispetto del timor di Dio in ogni circostanza, persino in guerra, è uno dei princípi fondamentali della morale islamica.
  4. Il sistema legislativo non deve essere tale da fare disperare i credenti, e da istigare i miscredenti al male e al peccato. È per questo che è stato concesso ai credenti di rispondere alle offese dei loro nemici.
  5. Non bisogna eccedere i limiti imposti da Allah nel difendersi e vendicarsi. Bisogna sempre essere timorati.

VERSETTO 195

æóÃóäÝöÞõæÇú Ýöí ÓóÈöíáö Çááøåö æóáÇó ÊõáúÞõæÇú ÈöÃóíúÏöíßõãú Åöáóì ÇáÊøóåúáõßóÉö æóÃóÍúÓöäõæóÇú Åöäøó Çááøåó íõÍöÈøõ ÇáúãõÍúÓöäöíäó ﴿195﴾

195.  Elargite [di ciò che avete] sul sentiero di Allah e non gettatevi in perdizione con le vostre stesse mani; fate del bene, ché, in verità, Allah ama le persone benefiche.

COMMENTO

La gihad, nella stessa misura in cui ha bisogno di uomini devoti, forti ed esperti, necessita di beni e ricchezze, poiché nella gihad c’è bisogno sia di preparazione spirituale e fisica, sia di armi e di mezzi per combattere. Se è vero che il fattore decisivo in ogni guerra sono, in primis, i soldati, è anche vero che essi, per combattere, hanno bisogno di armi e mezzi. È per questo che il versetto afferma che non elargire i propri beni per questa causa significa mandare in rovina se stessi e i mussulmani.

In quell’epoca, in particolar modo, v’era un gran numero di mussulmani che erano pieni di amore e di entusiasmo per la gihad, ma erano poveri e bisognosi, e non potevano procurarsi i mezzi necessari per combattere. A tal proposito il sacro Corano narra che alcuni mussulmani venivano dal sommo Profeta, e gli chiedevano di procurare loro i mezzi necessari per combattere, e di portarli sul campo di battaglia per la gihad, ma siccome non v’erano sufficienti mezzi, tornavano indietro tristi, afflitti, in lacrime: “Tornavano indietro in lacrime; erano tristi perché non avevano averi per procurarsi i mezzi necessari per andare in guerra”[274]

LA BENEFICENZA SALVA LA SOCIETÀ DALLA ROVINA

Nonostante questo versetto sia stato rivelato in coda ai versetti che parlano della gihad, il concetto espresso in esso ha valenza generale, costituisce un principio generale: la beneficenza è in grado di salvare la società – e piú in generale l’umanità – dalla rovina. Quando invece la carità viene trascurata, e tutte le ricchezze si accumulano in un’unica fascia della società, ebbene, la maggior parte della gente cade in povertà, e ciò, in breve tempo, è capace di provocare gravi problemi sociali, che sono in grado di trascinare tutta la società, tutte le fasce sociali in assoluta rovina.

Concludiamo dunque che la beneficenza oltre a essere utile ai poveri e agli indigenti, è senza dubbio a favore delle stesse persone che la fanno. In altre parole, l’equilibrio delle ricchezze, preserva le ricchezze, come afferma anche il santo imam Alí (A): “Preservate i vostri beni dando la zakaah [decima islamica]”[275]

Alla fine del versetto, Allah ordina: “Fate del bene, ché, in verità, Allah ama le persone benefiche”, guida cioè i credenti dalla gihad, alla beneficenza, al piú alto livello della perfezione umana, e cioè quello del muhsin (benefico).

VERSETTO 196

æóÃóÊöãøõæÇú ÇáúÍóÌøó æóÇáúÚõãúÑóÉó áöáøåö ÝóÅöäú ÃõÍúÕöÑúÊõãú ÝóãóÇ ÇÓúÊóíúÓóÑó ãöäó ÇáúåóÏúíö æóáÇó ÊóÍúáöÞõæÇú ÑõÄõæÓóßõãú ÍóÊøóì íóÈúáõÛó ÇáúåóÏúíõ ãóÍöáøóåõ Ýóãóä ßóÇäó ãöäßõã ãøóÑöíÖÇð Ãóæú Èöåö ÃóÐðì ãøöä ÑøóÃúÓöåö ÝóÝöÏúíóÉñ ãøöä ÕöíóÇãò Ãóæú ÕóÏóÞóÉò Ãóæú äõÓõßò ÝóÅöÐóÇ ÃóãöäÊõãú Ýóãóä ÊóãóÊøóÚó ÈöÇáúÚõãúÑóÉö Åöáóì ÇáúÍóÌøö ÝóãóÇ ÇÓúÊóíúÓóÑó ãöäó ÇáúåóÏúíö Ýóãóä áøóãú íóÌöÏú ÝóÕöíóÇãõ ËóáÇËóÉö ÃóíøóÇãò Ýöí ÇáúÍóÌøö æóÓóÈúÚóÉò ÅöÐóÇ ÑóÌóÚúÊõãú Êöáúßó ÚóÔóÑóÉñ ßóÇãöáóÉñ Ðóáößó áöãóä áøóãú íóßõäú Ãóåúáõåõ ÍóÇÖöÑöí ÇáúãóÓúÌöÏö ÇáúÍóÑóÇãö æóÇÊøóÞõæÇú Çááøåó æóÇÚúáóãõæÇú Ãóäøó Çááøåó ÔóÏöíÏõ ÇáúÚöÞóÇÈö ﴿196﴾

196.  E completate, per Allah, l’hajj e l’umrah, ma se [ne] siete trattenuti, sacrificate allora quel che potete, e non radetevi la testa finché la vittima non sia giunta al luogo del sacrificio. Se però qualcuno di voi è malato oppure ha un morbo alla testa [per cui è costretto a radersela], dovrà allora riscattare l’obbligo con un digiuno, o con un’elemosina, oppure con un’offerta sacrificale. Quando [invece] siete al sicuro, chi, concludendo l’umrah, inizia l’hajj, deve sacrificare ciò che può, e chi non trova nulla [da sacrificare], deve digiunare per tre giorni durante l’hajj e altri sette una volta che [avrete terminato l’hajj e] sarete ritornati [in patria]. Questa è una decade completa! Questo per chi la cui famiglia non è nei pressi della Masjidu-l-haram [ossia, per chi non è residente alla Mecca o nei pressi di questa santa città]. Temete Allah e sappiate che, in verità, Allah è severo nel castigo.

COMMENTO

Di solito, i pellegrini della sacra Casa di Allah, prima eseguono il rito dell’umrah, che consiste nell’eseguire l’ihraam (che, a sua volta, consiste nell’impegnarsi, nell’obbligarsi di astenersi da una serie di determinati atti), poi vestire il particolare abito dell’ihraam, che consiste in due pezzi di stoffa non cucita, e pronunciando il “labbayk” dirigersi verso la Ka´bah, attorno alla quale bisogna girare per sette volte. Poi bisogna eseguire due rak´ah di preghiera in un luogo chiamato Maqaamu Ibraahim [Stazione di Abramo], eseguire il sa´iy (percorrere sette volte correndo la distanza esistente) tra Safaa e Marwah, tagliare un po’ dei propri capelli o parte delle proprie unghie, e uscire cosí dall’ihraam.

Per il sacro rito dell’hajj bisogna entrare in istato di ihraam dalla sacra città della Mecca, e nel nono giorno del mese di zhu-l-hajjah andare in una celebre località desertica chiamata Arafaat – a quattro parasanghe dalla Mecca – rimanervi da mezzogiorno fino al tramonto, e, preferibilmente, trascorrere il tempo in preghiera. Dopo il tramonto bisogna andare a Al-mash´aru-l-Haraam, località a due parasanghe e mezzo dalla Mecca, e passare tutta la notte, fino allo spuntare del sole, in questo sacro luogo. Dopo lo spuntare del sole bisogna andare in una vicina località chiamata Minaa, e, in quello stesso giorno, che è un giorno di festa islamica, lo ´idu-l-qurbaan, colpire con dei sassi sette volte una colonna chiamata Al-jamaratu-l´Aqabah, poi bisogna immolare una bestia, e rasandosi i capelli uscire dallo stato di ihraam.

Lo stesso giorno, o successivamente, bisogna tornare alla Mecca, e compiere in successione i seguenti atti: il tawaaf [circumambulazione] intorno alla sacra Ka´bah, la preghiera del tawaaf, il sa´iy tra safaa e marwah, il tawaafu-n-nisaa, la preghiera del tawaafu-n-nisaa. L’undicesimo e il dodicesimo giorno, bisogna colpire con dei sassi sette volte tre colonne, in successione, chiamate Al-jamaraat. Nell’undicesima e dodicesima notte bisogna rimanere nella località di Minaa. Ognuno dei riti del sacro hajj ha un preciso significato simbolico, e rievoca un ben determinato avvenimento storico. Le ragioni di ciascuno di questi riti verranno spiegate nel commento dei relativi versetti.

È bene a questo punto ricordare che ognuno di questi atti devono essere compiuti per Dio, secondo quanto Egli ha ordinato, e non per mettere in mostra la propria religiosità, le proprie virtú. È per questo che la prima frase di questo sacro versetto afferma: “E completate, per Allah, l’hajj e l’umrah”. Poi aggiunge che se dopo essere entrati in istato di ihraam dovesse verificarsi qualche impedimento nell’esecuzione dei sacri riti dell’umrah e dell’hajj – come l’insorgere di qualche malattia, o il timore di essere attaccati dal nemico – è necessario immolare una bestia, sacrificare quello che si può: “…ma se [ne] siete trattenuti, sacrificate allora quel che potete…”

Bisogna notare che nel caso in cui questo impedimento sia una malattia, e lo stato di ihraam sia per l’umrah singola, è necessario mandare la bestia da sacrificare alla Mecca, affinché sia immolata in questa città. Se invece l’impedimento è il timore di essere attaccati dal nemico, bisogna sacrificare la bestia nel punto in cui il pellegrino è stato fermato dal nemico. A tal proposito ricordiamo che il sommo Profeta si comportò in questo modo a Hudaybiyyah. Se poi l’ihraam è per l’hajj, e l’impedimento consiste in una malattia, ebbene la bestia da sacrificare deve essere portata a Minaa, e sacrificata in questa località.

“…e non radetevi la testa finché la vittima non sia giunta al luogo del sacrificio”

Uno degli atti che devono essere compiuti nell’hajj, è la rasatura dei capelli, che deve essere eseguita rigorosamente prima di sacrificare la bestia nel luogo prefissato, ad eccezione di quelle persone che sono malate od ostacolate, che devono rasarsi la testa prima del momento prestabilito; se dovesse accadere ciò la persona che si rade la testa in anticipo deve pagare una fidiyah, un riscatto: può digiunare tre giorni o sfamare sei poveri, oppure sacrificare una pecora.

“Quando [invece] siete al sicuro, chi, concludendo l’umrah, inizia l’hajj, deve sacrificare ciò che può, e chi non trova nulla [da sacrificare], deve digiunare per tre giorni durante l’hajj e altri sette una volta che [avrete terminato l’hajj e] sarete ritornati [in patria]”

I tre giorni di digiuno dei quali parla questa parte del versetto, devono essere eseguiti nel settimo, ottavo e nono giorno.

“Questa è una decade completa!”

Nonostante sia chiaro che la somma di tre e sette giorni dà come risultato dieci giorni, il sacro Corano ribadisce qui che i giorni di digiuno sono esattamente dieci. Forse vuole esprimere che questi dieci giorni di digiuno sono un’espiazione pari a quella dell’immolazione di una pecora.

“Questo per chi la cui famiglia non è nei pressi della Masjidu-l-haram [ossia, per chi non è residente alla Mecca o nei pressi di questa santa città]. Temete Allah e sappiate che, in verità, Allah è severo nel castigo”

L’hajj del quale parla il versetto riguarda solamente coloro che non sono residenti alla Mecca o nei pressi di questa santa città. Tra gli esperti di legge islamica è noto che chiunque viva a una distanza superiore alle sedici parasanghe, ebbene, ha l’obbligo di eseguire questa forma di hajj, diversamente da quelle persone il cui luogo di residenza è inferiore a tale distanza, poiché essi hanno l’obbligo del cosiddetto hajju-l-qiraan oppure dell’ifraaz. Tali questioni sono spiegate in maniera argomentata e documentata nei libri di legge islamica.

In conclusione, il versetto ordina di essere timorati, di eseguire diligentemente gli ordini dati, e di temere le dure punizioni del Signore Eccelso, forse perché l’hajj è un importante atto di adorazione islamico. In effetti, se i suoi riti non venissero eseguiti con assoluta cura ed attenzione, e venisse trascurato e dimenticato il suo spirito, i mussulmani subirebbero un enorme danno spirituale e religioso.

Il santo Principe dei Credenti ha chiamato l’hajj “bandiera dell’Islam”, considerandolo un fondamentale simbolo di questa sacra religione; nel suo testamento, nelle ultime ore di vita, affermò: “Per amor di Dio! Non dimenticate mai la Casa del vostro Signore, poiché se trascurerete di farle visita, ebbene, non vi sarà dato alcun tempo, e la vostra esistenza cadrà in pericolo”[276]

Riportiamo ora la seguente celebre frase dei nemici dell’Islam: “Finché l’hajj è in vita, noi non potremo sconfiggerli”[277]

Un sapiente islamico afferma invece: “Guai ai mussulmani, se non dovessero comprendere il significato dell’hajj, guai agli altri, se non dovessero cogliere il senso dell’hajj”

VERSETTO 197

ÇáúÍóÌøõ ÃóÔúåõÑñ ãøóÚúáõæãóÇÊñ Ýóãóä ÝóÑóÖó Ýöíåöäøó ÇáúÍóÌøó ÝóáÇó ÑóÝóËó æóáÇó ÝõÓõæÞó æóáÇó ÌöÏóÇáó Ýöí ÇáúÍóÌøö æóãóÇ ÊóÝúÚóáõæÇú ãöäú ÎóíúÑò íóÚúáóãúåõ Çááøåõ æóÊóÒóæøóÏõæÇú ÝóÅöäøó ÎóíúÑó ÇáÒøóÇÏö ÇáÊøóÞúæóì æóÇÊøóÞõæäö íóÇ Ãõæúáöí ÇáÃóáúÈóÇÈö ﴿197﴾

197.  L’hajj [deve essere eseguito in ben] determinati mesi [shawwàl, dhu-l-qa´dah e dhu-l-hajjah]. Ebbene, chi assolve all’obbligo dell’hajj in questi mesi, [deve sapere che] in esso non dovrà avere rapporti sessuali né disubbidire [ad Allah] né venire a diverbio con alcuno. E tutto ciò che farete di bene, Allah lo saprà. Fate provvista e [sappiate che], in verità, la migliore provvista è il timore di Allah. O voi che siete dotati di sano intelletto, temeteMi!